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Giornata particolare, mai pensato di viverla

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Una giornata particolare. Non avrei mai pensato di viverla. Da parlamentare e da intellettuale che dalla destra è arrivato a sedere sui banchi della Camera dei deputati. Chi se lo aspettava che sarei stato chiamato a dare la mia fiducia ad un governo soltanto apparentemente «non politico». Oggi me lo troverò davanti. A pochi metri da me potrò vedere come sono fatti i «tecnocrati» in missione nel mondo dei partiti per tentare di salvare l'Italia. Li scruterò senza complessi, ma con qualche apprensione. Non dimentico i libri che ho letto, la letteratura politica di formazione, le discussioni sostenute, il lungo cammino nei santuari della cultura conservatrice europea. E mi tornerà alla mente l'universo giovanile che ho amato con tutta la passione di cui ero capace a vent'anni quando leggevo poesie di Pound e di Eliot, brani di Brasillach e di Drieu La Rochelle, frammenti degli Idilli di Messina di Nietzsche e pagine di Novalis ed Holderlin.   La vita mi ha portato laddove il Potere non s'incrocia con i sentimenti. E spesso mi sono sentito solo e spaesato. L'estraneazione è stata affievolita talvolta dalla speranza che prima o poi si sarebbero saldati i sogni e la realtà, in uno Stato nuovo, in una società diversa, in una rivoluzione delle coscienze. Ma adesso che davanti a me si parano tecnocrati di grande valore, rispettabilissime persone del mondo accademico e delle professioni, che però la politica l'hanno sfiorata, coadiuvata, assistita, indirizzata perfino, ma non maneggiata da protagonisti che cosa me ne faccio del mio fanciullesco sogno del «governo del popolo», del decisionismo, della partecipazione dei cittadini alle scelte economiche e sociali? È un bel guaio. Un guaio intimo e personale, beninteso. Che cosa c'entro io con la Trilaterale che mi appariva mostruosa come una Spectre uscita dalla fantasia di Ian Fleming o con il Bildberg Club che preparava il terreno all'affermazione del mondialismo, del globalismo, dell'indifferentismo culturale? Suggestioni che mi perseguitano. No, i signori che sono stati fatti ministri non appartengono al lato oscuro del Potere. E dalle loro biografie nulla fa intendere che non siano portate ad operare per il meglio. Darò la mia fiducia e non vengo neppure sfiorato dal pensiero di diventare addirittura complice di un «complotto» dell'alta finanza, come mi insegnava Henry Coston tanti anni fa, ai danni del mio popolo sotto l'attacco degli speculatori senza volto e senza patria. Mi resta però il rammarico che al punto in cui sono arrivate le cose non è la politica che si serva della tecnica, ma la tecnica che utilizzi la politica (il voto parlamentare) per rimettere in carreggiata un Paese che soffre maledettamente per gli acciacchi antichi diventati mali quasi incurabili. E sarà questo rammarico che mi farà accarezzare la memoria oggi, guardandomi intorno nell'Aula di Montecitorio, per cullarmi nell'illusione di intravedere sagome sbiadite un'epoca passata quando si esprimevano con vigore sentimenti politici e mai ci si mostrava inclini a concedere all'economia, alla finanza, alle tecnicalità amministrative il primato. Certo, i nuovi governanti non hanno usurpato nulla, ma è stata proprio la politica, nella sua abissale incapacità, a rendere ineluttabile un destino che francamente non mi piace, ma che fatalisticamente devo accettare.   «Amor fati», diceva Nietzsche, del resto. E lo raccontava, facendosi comprendere, ai pastori e ai boscaioli di Silvaplana, il lago, guarda caso, dove soggiorna d'estate il presidente Mario Monti che pure si sarà fermato qualche volta in prossimità del «Nietzsche Stein», lo scoglio sul quale il Solitario di Sils-Maria, ebbe la rivelazione dell'eterno ritorno dell'uguale. E alla fatalità, lo sa anche Monti, è difficile sottrarsi in tempi in cui si è posseduti da altre volontà. Ecco l'antidoto che mi porterò appresso oggi. Il fatalismo. Unito alla consapevolezza che il Tempo è un grande scultore, come suggeriva Marguerite Yourcenar. Verrà il giorno in cui riapriremo le porte alla vita reale che non è fatta di spread e default, di mercati e di borse, ma di anime che hanno bisogno della materialità dell'economia per poter semplicemente vivere secondo usi, costumi e bisogni naturali. Al di là delle convenzioni e delle contingenze. Ernst Junger scrisse, quando si occupava della pace mi pare, di credere che «l'uomo sia un tutto, e quando qualcuno mi dice "sono di destra" o "sono di sinistra", ho l'impressione che si presenti come un uomo a metà». Oggi l'uomo integrale maneggia materiale incandescente perché la sua comunità rinasca. Li guarderò i tecnocrati e penserò a questo. E cercherò negli occhi di un paio di loro che conosco e stimo la conferma alla mia speranza. Senza dare addio alle suggestioni giovanili, ai maestri silenziosi di una vita.

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