Fiducia record a Monti. E ora "misure non gradevoli"
Mario Monti fa il bis. Dopo la fiducia "bulgara" conquistata giovedì al Senato con 281 voti a favore e 25 contrari, anche alla Camera il Professore ha quasi fatto l'en plein con 556 «sì» e 61 «no». Numeri che gli consegnano ufficialmente l'incarico a Palazzo Chigi come sessantunesimo presidente del Consiglio dell'Italia repubblicana. Inizia così il governo della ricostruzione che, come ormai è noto, si caratterizzerà per misure poco gradevoli mirate a raddrizzare la situazione economica. Una medicina amara ma che, dopo un'ulteriore giornata di discussione a Montecitorio, nessuno dei partiti, ad esclusione del Carroccio, vuole fare a meno di prendere. Anzi, a sentire gli interventi in aula sembra proprio che a qualcuno addirittura piaccia. Ne è un esempio il Pd che, con Dario Franceschini, è pronto a sostenere gli sforzi dell'Esecutivo fino alla scadenza naturale della legislatura. Ma anche Antonio Di Pietro non sottrae il suo partito a questa responsabilità puntualizzando però che lo fa solo «per il bene del Paese». E il Pdl non può certamente essere da meno tanto che è lo stesso Silvio Berlusconi a precisare di non aver alcuna intenzione di voler staccare la spina prima del 2013. Così, al termine della seconda fiducia al governo Monti, i partiti si sono ufficialmente schierati: in maggioranza si siederanno Pdl, Pd, Terzo Polo e gruppo Misto, all'opposizione starà solamente la Lega che da ieri è rimasta anche l'unica forza politica a chiedere con insistenza «elezioni anticipate». Dopotutto non è una novità che Umberto Bossi veda nero: «Prima o poi la gente si incazzerà e Monti sarà cacciato». Eppure nella «stagione della sobrietà» inaugurata da Monti, i termini usati del Senatùr stridono. Infatti è bastato che il Professore alle dieci in punto facesse il suo ingresso nell'Emiciclo di Montecitorio per capire che la stagione degli scontri a colpi di slogan, degli striscioni, dei lanci di fascicoli e degli episodi di contatto fisico tra deputati di maggioranza e opposizione, è proprio finita. I deputati ora seguono le parole del presidente del Consiglio con calma lasciando solo ai 59 leghisti la libertà di urlare beffardamente «patrimoniale» quando Monti parla delle scelte necessarie per il risanamento o di fischiarlo quando annuncia il suo incontro con la Merkel e Sarkozy previsto per la settimana prossima. Il clima è decisamente cambiato. Certo, qualcuno fatica ancora ad ingranare come ad esempio il Pdl che riempirà i banchi solo qualche istante prima dell'intervento di Monti, o come la deputata dell'Udc Paola Binetti richiamata da Fini perché, impegnata a chiacchierare con un ministro, voltava le spalle ai colleghi seduti sui loro scranni, ma a tutto questo il «Monti-style» metterà presto fine. E a dare l'esempio di grande fair play, suscitando una standing ovation generale, sarà proprio lui quando, alzando gli occhi verso le tribune, scorge, Gianni Letta. «Sono rimasto piacevolmente colpito dal fatto che sia ieri al Senato che oggi alla Camera una persona molto rispettata da tutti mi ha usato la grande cortesia di essere presente in tribuna per ascoltarmi: Gianni Letta». Uno scambio di cortesie tra due uomini che hanno fatto della riservatezza e della sobrietà uno stile di vita. Incassata la fiducia, ora è però l'ora delle riforme. Numerose sono quelle che l'economista vuole mettere in agenda, non escludendo l'utilizzo dei decreti legge. «Si fa il possibile perché ci sia un'ampio consenso», ha sottolineato il Professore rimarcando come «sia naturale che le distanze potranno aumentare nel momento in cui verranno presentati i provvedimenti che il governo ha intenzione di varare». E tra i più controversi punti che il Parlamento dovrà toccare c'è di sicuro il tema del Federalismo: «Avevo dei soprassalti identitari al mio interno perché mi dicevo non sei lombardo, non sei varesino?», ha scherzato il premier spiegando che non c'è «nessuna contraddizione tra il rispetto di quanto è già stato deciso in materia, che ovviamente il governo intende seguire da vicino nel processo di attuazione, e l'avere istituito una specifica attenzione alla coesione territoriale, valore che interessa tutti». Il suo in ogni caso sarà un governo a tempo e Monti ne è consapevole, tanto da chiedere di continuare a chiamarlo «professore»: «Come diceva Spadolini, i presidenti passano, i professori restano». L'esecutivo si è quindi impegnato a governare «non un minuto di più del tempo sull'arco del quale questo parlamento ci accorderà la fiducia», ma la sua prospettiva resta quella delle elezioni del 2013. «Ed è un compito già quasi impossibile», sottolinea Monti precisando: «Non avrei accettato con la predeterminazione di una durata minore di quella, ma per favore non usate espressioni come staccate la spina. Avremmo dei problemi di identità, non siamo un apparecchio elettrico e poi saremmo forse incerti se siamo un rasoio o un polmone artificiale». Ma soprattutto Monti torna a difendersi dalle accuse di far parte dei poteri forti: «Anche se parte della responsabilità della crisi è delle istituzioni finanziarie, di poteri forti in Italia non ne conosco, se intendiamo quelli veri. Ho avuto il privilegio di vedere quasi tutti questi poteri nel mondo, nel mio ruolo di commissario alla concorrenza». E per giustificare le sue parole ricorda quando impedì una fusione tra due società americane e l'Economist scrisse che il mondo degli affari americani considera Monti il Saddam Hussein del business. Il governo è quindi «leggermente disturbato» da queste espressioni, ma il premier è consapevole che «tocca a noi dare la prova che voi non avete ragione con queste allusioni». Infine, e qui forse arriva quel messaggio che in tanti speravano, «chiederemo sforzi a chi ha contribuito meno». La settimana prossima quindi il governo Monti entrerà nel vivo delle proprie funzioni. L'appuntamento è per lunedì quando avrà luogo il primo consiglio dei ministri. All'ordine del giorno un solo punto: il decreto su Roma Capitale.