NelPdl si litiga Cicchitto rischia
La Meloni guida i ribelli e chiede il cambio di linea.Angelino resiste
Manca ancora qualche manciata di minuti per il voto sulla fiducia. Un gruppetto di deputati del Pdl scala i gradoni per raggiungere Angelino Alfano. Ci sono Giorgia Meloni e Fabio Rampelli, Mario Landolfi e s'aggrega anche Marco Marsilio. Sono tutti ex An, ala movimentista: qualche sera fa alcuni di loro hanno guidato la manifestazione pro-Berlusconi prima in piazza del Quirinale e poi davanti palazzo Grazioli. Che vanno a dire al segretario del Pdl? Chiedono di cambiare linea, di non dare più sostegno, appoggio incondizionato al governo Monti. Spiegano che una fetta dell'elettorato non capisce, non comprende, è contraria. Esprimono preoccupazione. Alfano s'irrigidisce. Spiega: «È proprio in un momento come questo che dobbiamo dimostrare che siamo un partito vero». Ricorda che si sono riuniti i vari organismi nei giorni scorsi, a cominciare dall'ufficio di presidenza del Pdl. È quella la sede in cui far valere le proprie ragioni. Ora bisogna adeguarsi. I "ribelli" insistono, ribadiscono che la base è in fermento. Il segretario non si scompone, sottolinea che c'è anche una larga parte di elettorato che invece apprezza questo gesto di responsabilità. Arriva in suo soccorso Salvatore Cicu, uno scajoliano piuttosto indipendente. Poi anche la "legione sarda", i deputati pidiellini che già devono subire nella terra dei Quattro mori l'assalto di Beppe Pisanu che rischia di portare con sé qualche altro senatore. Alla fine Alfano tira dritto per la sua strada e impone la linea: si vota sì. In serata Rampelli scrive un post su facebook: «Non è stato facile, so che molti resteranno delusi. Abbiamo portato i nostri argomenti nel Pdl per cercare soluzioni diverse, ma Berlusconi e Alfano hanno ritenuto giusto votare la fiducia a Monti. Non votare sarebbe stata una scelta individuale, a mio giudizio priva di dignità. Abbiamo votato sì, precisando pubblicamente che lo abbiamo fatto per tenere compatto il Pdl in un momento di difficoltà. Restano tutte le nostre avversità a questo governo. E le faremo valere. La politica è l'arte delle idee condivise, altrimenti diviene testimonianza e porta fuori da ogni possibilità di incidere nella società. Grazie a tutti per il contributo». Segue valanga di commenti. Landolfi dirama una nota nella quale afferma che «una maggioranza così vasta da sfiorare l'unanimità costituisca un limite piuttosto che un valore aggiunto per l'azione di governo» Ma gli scontenti non sono solo quelli di An. Spiega Giuseppe Moles, fedelissimo di Antonio Martino: «Ho votato la fiducia a questo governo cosiddetto tecnico solo per senso di responsabilità nei confronti del mio partito, come richiesto dal presidente Berlusconi e dal segretario nazionale Alfano. Al loro appello all'unità del partito non potevo che aderire ma resta ferma la mia convinzione che ciò che è accaduto e accade sia ipocrita». «Ho avuto grande difficoltà - racconta Moles - a passare sotto il banco della presidenza e ho mormorato il mio sì accompagnato da una forte nausea. Ho il timore che la democrazia sia stata non solo sospesa». Quello che in gioco ormai è l'esistenza stessa del Pdl. Alfano lo sa. La partita è più ampia e più delicata. Anche per questo si sta facendo strada l'ipotesi di rafforzare il gruppo alla Camera, quello che ha maggiormente sofferto in questa fase finale. Le soluzioni che circolano sono sempre le stesse. A cominciare dal cambio di capogruppo. Potrebbero farsi avanti gli ex ministri oggi a spasso. È il caso di Ignazio La Russa, che però ha scarse possibilità di farsi strada visto che il capogruppo al Senato è già un ex An, Maurizio Gasparri. Potrebbe tentare la scalata Franco Frattini, che pure aveva cercato la riconferma agli Esteri nel governo Monti. Si giocherebbe sicuramente la carta di sbarrare il passo ai "fascisti", come ha chiamato senza giri di parole gli uomini proveniente dal partito di via della Scrofa. Ma anche per lui si tratta di un percorso in salita visto che l'ex titolare della Farnesina non ha un grande seguito all'interno del gruppo a Montecitorio. Al contrario potrebbe avere chance Claudio Scajola, uno che ha una intensa vita parlamentare, è diventato un punto di riferimento. Ha dalla sua anche un'altra carta: è un moderato, che andrebbe a riequilibrare Gasparri e un ex socialista come Cicchitto. Ma non ha una buona immagine all'esterno. Resta probabile tuttavia che, se salterà l'attuale capogruppo, il suo successore possa essere un esponente moderato ma non proveniente da Forza Italia, visto che il partito originario del Cavaliere ha già il segretario. Si fa il nome di Mario Baccini. La sua nomina sarebbe anche un segnale verso Casini: di apertura ma allo stesso tempo di attenzione agli ex Dc che starebbero per fuggire verso il partito di Pier. Di sicuro Angelino, dopo la fiducia, corre all'ottavo congresso di Scienza e vita. E davanti al cardinale Bagnasco (e a Casini e Bersani), afferma: «La nostra opinione è che c'è chi da e toglie la vita, e quel qualcuno non è il Parlamento. Siamo dell'idea che la persona venga prima dello Stato così come la famiglia formata da un uomo e una donna sia il nucleo essenziale della società». Pier si dice più d'accordo con lui che con Pierluigi.