Il Quirinale e la nuova mappa dei partiti
Governare non è affare da centometrista, ma una prova di decathlon. L’ottima partenza di Mario Monti non deve illudere nessuno, la sua sarà una gara intensa e piena di ostacoli. Fatta questa premessa, la quota 556 voti toccata alla Camera nel voto di fiducia ha significati che vale la pena di analizzare. Il primo riguarda Giorgio Napolitano che ha centrato l’obiettivo prefissato: più di 500 voti a Montecitorio. Con questo punteggio da star della pallacanestro termina la fase preparatoria del «Governo del Presidente» e si entra in un secondo tempo del Quirinale. Da oggi Napolitano rientra nel ruolo di «custode della Costituzione» e riapre le officine che gli consentono di fare da cabina di regia della legislatura: il laboratorio delle regole che si articola nei vari uffici della Presidenza della Repubblica, e la macchina della moral suasion e del potere di esternazione. Qui si concretizzano gli atti formali del Quirinale e si materializza il carisma di Napolitano come attore della scena politico-mediatica. Il presidente ha un vantaggio enorme rispetto a tutti gli altri attori della scena istituzionale: 1. non ambisce ad essere rieletto e i suoi gesti non possono essere visti in funzione di una riconferma; 2. ha un consenso stellare nel Paese reale; 3. ha un’esperienza che gli consente di far nascere la Terza Repubblica perché ha conosciuto la Prima e la Seconda; 4. è l’erede di un partito la cui ideologia si è dissolta e lui fu uno dei pochi a prevederne la fine; 5. è diventato il primo interlocutore dei capi di Stato e di governo stranieri. Una serie di circostanze fanno del Quirinale lo snodo di un passaggio storico. Dove stiamo andando? Con la fiducia a Monti comincia un percorso del sistema politico verso la Terza Repubblica e un ridisegno della mappa geografica dei partiti e delle alleanze. Piano piano, ora dopo ora, anche i parlamentari se ne stanno rendendo conto. Ci saranno, è naturale, dei tentativi forti di conservazione dello status quo, ma sono comprensibili e - perfino nel caso di una caduta del governo Monti - non arresteranno processi di scomposizione e ricomposizione già in fieri nel centrodestra e nel centrosinistra durante il governo Berlusconi. L’alleanza tra Pdl e Lega era una convivenza forzata da più di un anno e il distacco consumato in questi giorni restituisce al partito di Berlusconi (e Alfano) la possibilità di tornare ad essere pienamente liberale, innovatore, europeo e nazionale. Situazione speculare nel centrosinistra, dove il Pd e l’Udc troveranno modo di scoprire le differenze su temi chiave dell’agenda delle riforme. Idem per l’Idv di Antonio Di Pietro - divisa tra voglie elettorali e spinte governative - e del movimento Sel di Nichi Vendola che ha bocciato in toto il governo Monti e la sua agenda. Questa crisi metterà in evidenza le idee inconciliabili e i matrimoni impossibili, mentre il ruolo chiave di Napolitano aprirà una riflessione su un presidenzialismo di fatto che è ora diventi una realtà per una nazione che festeggia i suoi 150 anni di storia e ha l’occasione per cambiare e non restare gattopardescamente uguale.