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Tutti a caccia del "facciario" per riconoscere i ministri

Il presidente del Senato Renato Schifani

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Il gadget più richiesto tra i senatori e i giornalisti nella prima giornata di Mario Monti a palazzo Madama è il «facciario». Un foglio, distribuito all'ingresso, dove campeggiano i volti dei ministri del governo e che in aula tutti consultano per identificare i collaboratori del presidente del consiglio seduti attorno a lui nei banchi del governo. Una necessità che la dice lunga su quanto i nuovi ministri siano distanti dal mondo della politica. Se lo passano di mano i senatori leghisti, forse quelli che meno conoscono le facce della squadra dell'esecutivo. E il partito del Senatùr è anche il più inquieto nell'ascoltare il primo discorso di Mario Monti in un'aula da presidente del Consiglio. Per il momento ancora in attesa della seconda fiducia alla Camera. Parlottano, si scambiano occhiate, qualche risatina, addirittura Roberto Castelli, fino a pochi giorni fa viceministro alle Infrastrutture, si lascia andare a una battuta ironica a voce alta verso i colleghi del centrosinistra, «colpevoli», a suo giudizio, di non applaudire troppo: «Un po' di entusiasmo su». Il premier si interrompe ma risponde a tono: «Colleghi senatori se dovete fare una scelta fate quella di ascoltare». E stavolta l'applauso dall'opposizione arriva convinto. Mario Monti prende la parola nell'aula del Senato pochi minuti dopo l'una. Un discorso che dura 45 minuti, interrotto da 17 applausi, non tutti particolarmente calorosi. E soprattutto divisi a seconda dei temi toccati: fragorosi nei banchi del centrosinistra quando Monti affronta la possibile reintroduzione dell'Ici – «L'esenzione dall'Ici delle abitazioni principali è una peculiarità se non un'anomalia del nostro ordinamento» – mentre nel centrodestra restano immobili, a parti rovesciate quando affronta invece il tema della possibile modifica dei contratti di lavoro. Ma nei primi minuti del discorso c'è anche spazio per quello che è forse l'unico applauso, anche se tiepido, del centrosinistra a Berlusconi: arriva quando il premier ringrazia il suo predecessore. In tribuna ad ascoltarlo, nella tribuna centrale, proprio davanti a lui, c'è tutta la sua famiglia: la moglie Elsa – che assiste all'intervento senza togliersi il cappotto fucsia – e i due figli. Di lato, nell'ultimo palco alla destra di Mario Monti c'è anche Gianni Letta. Berlusconi resta seduto accanto a lui per pochi minuti, fino a quando inizia la seduta, poi esce. L'ex sottosegretario invece ascolta assorto tutto l'intervento. E torna nel pomeriggio solo per ascoltare alle sei e mezza la replica del neopremier. Ma anche tra i senatori l'attenzione è alta. In tanti prendono appunti, Emma Bonino, seduta nel suo posto in alto a sinistra dell'aula, nei passaggi più significativi scrive su un foglio in una cartellina. Poi, durante la pausa pranzo incontra il ministro alla giustizia Paola Severino che la rassicura su uno dei temi cari ai radicali, l'emergenza carceri: «Tranquilla – le dice – affronteremo questo problema». «Noi siamo qui» è la risposta. Roberto Calderoli, invece, è il più irrequieto tra gli irrequieti leghisti: si alza, parlotta con i suoi colleghi, poi alla fine dell'intervento di Monti mostra platealmente il pollice in giù. E alla buvette poco dopo commenta: «Mi aspettavo lacrime e sangue, ma non mi aspettavo che ci fregassero anche il fazzoletto». Il premier incaricato va avanti tranquillo per i 45 minuti, ci tiene a far capire che se non c'è l'impegno di tutti non si va da nessuna parte. Non parla di crisi ma di «sfide che ci attendono», non mette limiti temporali al suo governo ma si limita a un cauto «periodo che ci è messo a disposizione». Però poi si lascia andare a un severo «voglio aiutarvi a superare una fase di dibattito molto, molto acceso». La prima giornata in Parlamento per lui finisce alle nove e dieci di sera, quando il Senato gli dà la fiducia con 281 sì. E il presidente Renato Schifani gli augura un «caloroso buon lavoro». Oggi toccherà alla Camera.

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