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Una stangata da 500 miliardi

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Il neo premier Mario Monti ha un mandato preciso in tasca: rassicurare i mercati sul fatto che il Paese, non solo le sue casse pubbliche, è liquido. Nel senso monetario del termine, ovvero che ha una quantità di soldi sufficiente a pagare le obbligazioni contratte con i grandi fondi e le banche internazionali. Che pensano solo a una cosa: guadagnare e, soprattutto, non perdere. Nel suo programma, dunque, non c'è solo una manovra correttiva di 15-20 miliardi per rimettere in pista l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. Un target non più centrabile, nonostante la Finanziaria da 80 miliardi approvata alla fine dell'estate, per il deterioramento dell'economia e l'abbassamento delle stime di crescita del Pil. No. Ai mercati serve di più. Vogliono essere sicuri di rientrare dell'intero ammontare di capitale prestato a Roma. Solo allora saranno ben lieti di riaprire le linee di credito al sistema Italia accettando anche tassi di interesse minori. Dunque la traiettoria di medio termine dell'operato del nuovo premier è già tracciata. Accettato l'incarico, se riuscirà a convincere non solo i capi di partito, ma anche i singoli deputati che ne fanno parte, dovrà prima o poi mettere la sua firma su uno o più decreti che dovranno portare tra tagli e tasse straordinarie, circa 500 miliardi di euro. Attenzione, non è un numero tirato a caso ma il frutto di una semplice considerazione matematica. L'attuale debito pubblico viaggia attorno ai 1900 miliardi di euro, vicino al 120% del Pil. Raccogliere dalle tasche degli italiani la cifra monstre (500 miliardi) significherebbe portarlo a 1400 miliardi e dunque verso una percentuale pari all'80-85% della ricchezza nazionale. Un terapia da cavallo che darebbe un segnale preciso ai finanzieri internazionali. L'Italia è ancora ricca e solvibile, riesce a pagare i suoi debiti quando è messa sotto pressione, dunque gli si può ancora accordare quello che negli ultimi mesi non è stato più concesso: la fiducia e il tempo per pagare. Il professor Monti non ha molte alternative rispetto alla richiesta dei mercati. In fondo, in barba ai meccanismi di selezione democratica, sono loro, i mercati, che lo hanno messo a Palazzo Chigi, così non è difficile immaginare che per i cittadini italiani si prospettino non mesi ma anni di austerità. Spazio dunque agli interventi lacrime e sangue che passano inesorabilmente appunto dalla patrimoniale. Bestia nera della politica liberale, e contro la quale Berlusconi ha lottato fino alla fine senza cedere. Ma dietro questo termine si nasconde una molteplicità di interventi che non è difficile enucleare. La soluzione più rapida per raggiungere l'obiettivo è stata già tracciata. L'ex socialista Giuliano Amato e il banchiere Pellegrino Capaldo lo hanno detto a chiare lettere sul Corriere della Sera mesi fa. Il secondo in particolare ha proposto non una patrimoniale proporzionale al valore degli immobili, ma un tributo sul loro aumento di valore dal momento del loro acquisto per eredità o compravendita o della loro costruzione. Potrebbe passare un'immensa rivalutazione delle rendite catastali ancorate a valori storici e riadeguate a quelli più vicini alle realtà di mercato. Sui nuovi valori un'aliquota oscillante fra il 5 e il 20 per cento della plusvalenza basterebbe ad assicurare circa 900 miliardi di euro. Con il 2,5% utilizzando lo stesso meccanismo si avvrebbero i 450 miliardi necessari alla effettiva salvezza del Paese. Con correlativa disperazione degli italiani però. Sta di fatto che il primo obiettivo resta comunque la casa. La prima e di proprietà. Bene supremo non garantito costituzionalmente ma entrato a pieno titolo tra i valori fondativi delle famiglie italiane. Un bersaglio facile e allettante per chiunque voglia fare una colletta forzosa per salvare lo Stato dal fallimento. Pardon, dal default, visto che il termine in inglese incute più paura. Senza passare per le ipotesi aggressive di Amato e Capaldo, è lì che ogni buon governante alla ricerca di liquidità appunta la sua attenzione. Anche per il solo pareggio di bilancio che, è solo il primo passo, e non l'ultimo per sanare lo squilibrio della finanza pubblica. Il macigno del debito pubblico anche con l'equilibrio tra Entrate e uscite dello Stato resterebbe ben legato come una palla al piede dello sviluppo del Paese. Ebbene il ritorno dell'Ici, l'imposta comunale sugli immobili, sulla prima abitazione di proprietà è ormai più che una certezza. Fu tolta da Silvio Berlusconi come primo impegno dopo la campagna elettorale delle politiche del 2008, vinte con una maggioranza bulgara, ma ieri la sua reintroduzione è stata certificata dall'ormai dimissionario ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che ha spiegato nella lettera di risposta alle 39 domande di Bruxelles che il suo peso in termini di gettito vale circa 3,5 miliardi. Il balzello potrebbe rispuntare con le sembianze della nuova Imposta Municipale, prevista dai decreti delegati sul federalismo. Tremonti ha spiegato nella missiva a Bruxelles che il 24 ottobre scorso, durante l'esame parlamentare di uno dei decreti delegati, è stato approvato il primo decreto delegato correttivo dell'Imu, che dovrebbe scattare dal 2014 e inizialmente era limitata alle seconde case. Basterà una modifica, semplice, che consentirà di applicare questa «tassa sui servizi» anche ai proprietari che abitano l'immobile. Facile. L'altro capitolo immediato su cui Monti interverrà è quello della previdenza. Sulle pensioni l'ipotesi più volte sul tappeto è quella di una stretta sui trattamenti di anzianità con l'introduzione di «quota 100», in pratica portando a questo livello la somma tra età anagrafica e anni di contributi. Ora si è fermi a «quota 96». I tecnici calcolano un risparmio complessivo di oltre 2 miliardi tra il 2013 e il 2015, che si attesterebbe a 1,7/1,8 miliardi negli anni successivi. Tra i possibili interventi anche quella di una accelerazione dell'aumento dell'età pensionabile che arriverebbe a 67 anni solo nel 2026. Fin qui il futuribile. Poi c'è la realtà. Secondo la banca d'affari Jp Morgan è scontato che il Fmi stenda la rete di soccorso finanziario sull'Italia. Monti per ora non convince.

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