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La ricetta di Mario per salvare l'Italia

Il presidente del Consiglio incaricato Mario Monti

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Il premier in pectore ieri ha lasciato di buon mattino il suo albergo nel centro di Roma regalando solo una battuta ai cronisti: «Avete visto che bella giornata?» Ma negli ultimi mesi Mario Monti è stato molto più loquace. Dando un assaggio di quella che potrebbe essere la sua ricetta per salvare l'Italia. Primo: lancerà una guerra spietata allo statalismo. Almeno rileggendo le parole che l'ex manager Goldman Sachs ha scritto nel 2008, insieme con Franco Bassanini, nella prefazione all'edizione italiana del Rapporto consegnato da Jacques Attali, ex consigliere di Mitterrand, a Nicolas Sarkozy sulla «liberazione della crescita francese». Oltre 300 proposte, ambiziose e dettagliate, formulate da un gruppo di 42 persone molto diverse per esperienza professionale, convinzioni politiche, nazionalità. Fra cui, appunto, Monti. «Lo studio della commissione è stato apprezzato, nel suo complesso, dagli innovatori, dai liberali, dai riformisti del centrodestra e della sinistra francese», scriveva il professore, «ed è stato parimenti criticato, com'era prevedibile, dai conservatori di destra e di sinistra, e dai difensori di rendite, privilegi, interessi corporativi o localistici». «Le nostre proposte rafforzano potere d'acquisto, tutela del consumatore, diritto alla casa come capitale familiare, come servizio, come strumento di mobilità e crescita», spiegò poi al Corriere della Sera il professore della Bocconi a conclusione dei lavori della commissione. «In sostanza, si smette di credere che liberalizzare significhi trasformare il mercato in una giungla. La sinistra lo ha creduto spesso. È vero il contrario: il liberismo garantisce i più deboli, la mancanza di concorrenza avvantaggia corporazioni e monopoli». Poi è arrivata la crisi e il commissariamento dell'Italia da parte del duplex Merkel-Sarkozy. Già il 14 luglio di quest'anno, l'uomo che lo stesso Cavaliere, con il placet di Massimo D'Alema, volle commissario europeo nel 1995 aveva scritto un editoriale pubblicato dal Corriere della sera e dal Financial Times per indicare al governo Berlusconi la strada da seguire. Obiettivo interrompere l'attacco speculativo ai danni dell'Italia, prima che la situazione precipitasse portando lo spread Btp-Bund oltre i 500 punti. «È di importanza vitale per l'Italia far aumentare la produttività complessiva, la competitività, la crescita; e ridurre le disuguaglianze sociali», scriveva il presidente della Bocconi. Ma «ciò deve essere conseguito, ovviamente, non allentando la disciplina di bilancio ma rimuovendo gli ostacoli strutturali alla crescita. Essi sono numerosi, ben radicati in molti settori e hanno in comune una cosa: derivano dal corporativismo e da insufficiente concorrenza». Il professore specializzato a Yale con un compagno di studi eccellente, quel James Tobin che inventò la Tobin tax, individuava in due fattori gli ostacoli alla crescita dell'Italia: le caratteristiche dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e delle altre autorità di regolazione, che «non hanno sufficienti poteri, indipendenza effettiva e risorse», e una serie di «restrizioni alla concorrenza introdotte negli anni da provvedimenti legislativi e amministrativi». Del resto, da commissario europeo (prima al mercato interno poi alla concorrenza), Monti ingaggiò e vinse una dura battaglia antitrust contro la Microsoft di Bill Gates accusata di abuso di posizione dominante. Come si muoverà adesso? L'Italia deve ripartire dalla crescita sembra essere l'assioma su cui sta riflettendo Monti che ha già un'agenda stracolma. Servono risorse immediate per le casse dello Stato. Il governo Berlusconi non ha infatti portato a compimento la parte più difficile della manovra da 60 miliardi di euro varata in più riprese questa estate: si tratta dei 20 miliardi attesi da un'ormai altamente improbabile riforma del welfare che in alternativa - nei piani di Tremonti - sarebbero dovuti arrivare entro i primi del 2012 con un taglio lineare delle detrazioni e delle deduzioni fiscali. «Il lavoro è enorme», ha confermato nei giorni scorsi da Berlino, sottolineando che la strada per far ripartire il Pil passa per «la rimozione di ogni privilegio». Vale a dire: bisogna smantellare il sistema granitico di corporazioni e caste varie che da anni ostacola le riforme necessarie all'Italia. Da tempo l'Europa ci chiede inoltre di cancellare l'istituto delle pensioni anticipate. Considerando che la Lega ora è all'opposizione, il nuovo premier potrebbe decidere il pro quota per tutti e l'accelerazione dell'allineamento dell'età di vecchiaia a 65 anni per uomini e donne nel settore privato. Più di una volta Monti - in linea con Mario Draghi - ha infine sottolineato la necessità di spostare il grosso del peso fiscale da lavoro e imprese a consumi e patrimoni. «Tagliare le tasse sarebbe una soluzione desiderabile, ma non credibile», ha spiegato ancora il professore. L'alternativa? Il ripristino dell'Ici o l'introduzione di una patrimoniale leggera.

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