Dieci cose da sapere prima che la campana suoni a Piazza Affari
Ci sono dieci cose da sapere prima che domani suoni la campana di Piazza Affari e cominci la seduta di Borsa. La più importante Se l'Italia non si presenta all'apertura dei mercati con in tasca un nuovo premier e un governo tecnico, gli spread fra Btp e Bund saliranno alle stelle e il “consensus” dei mercati sul futuro dell'Italia crollerà. Come spiega bene il macroeconomista Mario Seminerio sul suo blog Phastidio, in questo senso va letta la riduzione di spread e rendimenti degli ultimi due giorni, visto che fuori d'Italia non è cambiato pressoché nulla: l'EFSF ancora non prende vita, e quando lo farà sarà con tutta probabilità con forme e modalità operative tali da risultare del tutto inutili a puntellare un paese come il nostro. La stessa Bce è ancora paralizzata dalla cacofonia dei propri membri e dalle ricorrenti pose del “blocco teutonico”, quello che invoca lo stop agli acquisti di titoli di stato appena gli spread si restringono di un soffio. Quindi per ora i mercati stanno trasformando in liquidità una speranza: ovvero che nasca un governo Monti, che sia isolato da influenze partitiche, che realizzi il programma di consenso dei mercati e poi riconsegni il paese ai agli elettori. È il cosiddetto capitale reputazionale, che riduce spread e rendimenti come per magia. Ma che, come tutte le magìe, può svanire in ogni momento. Asta Domani il Tesoro mette all'asta sul mercato Btp quinquennali (scadenza 15 settembre 2016) per un importo compreso fra 1,5 e 3 miliardi di euro. La Francia Lo sghignazzante premier francese, Sarkozy, venerdì ha ripetuto che «bisogna rimettere in carreggiata l'Italia». Ma chi penserà a rimettere in carreggiata Sarkozy? «Dopo l'Italia e la Grecia, toccherà alla Francia?», si chiedeva, infatti, qualche giorno fa il quotidiano Le Monde, con un titolo a caratteri cubitali in prima pagina. Perché gli speculatori hanno preso di mira gli Oat, i titoli di Stato francesi, equivalenti dei nostri Btp. Colpa anche di uno strano incidente: nel pomeriggio, S&P ha inviato intorno alle 15 ai suoi abbonati un messaggio sintetico: «Debito sovrano, Francia, downgrading». Solo dopo pochi minuti quel declassamento è stato smentito. «Errore tecnico», hanno detto da New York. Non tutti a Parigi ne sono convinti. L'uscita dalla tripla A da parte della Francia è data come sempre più probabile negli ambienti finanziari. Un economista apprezzato come Jacques Attali ha sottolineato: «Non facciamoci illusioni: sul mercato il rating del debito pubblico francese non è più la tripla A». Ha rincarato la dose Marc Touati, economista di Global Assya: «La questione ormai non è più se la Francia abbandonerà la tripla A, ma quando». Non solo: al di là della tripla A, una serie di cose vanno ancora peggio che in Italia. La disoccupazione sta sfiorando il 10% (contro l'8,3% italiano). Il deficit pubblico a fine 2011, quasi sotto controllo in Italia (3,7% del Pil), è stimato a Parigi per la stessa scadenza al 5,8%. Intanto, per il 2012 si prevede per l'Italia un avanzo primario (prima del pagamento degli interessi sul debito) del 2,6% contro un disavanzo del 2,1% in Francia, dove lo Stato continua a spendere più di quanto possa davvero permettersi. Fra l'altro il debito è in termini assoluti inferiore a quello italiano (1.700 miliardi di euro contro i nostri 1.900), ma è detenuto da stranieri per il 57,9% del totale (il 42,4% per quello italiano): un fattore di debolezza. Monsieur Sarkò rischia di deragliare. Insolvenza Il ministro dell'Economia tedesco, Roesler, ha rinnovato ieri la sua richiesta di introdurre una procedura ordinaria di insolvenza nell'ambito dei trattati europei nei confronti degli stati che infrangano le norme sul deficit di bilancio. Aggiungendo che sarebbe molto preoccupante se la Bce si impegnasse in acquisti su larga scala di bond contro il consiglio della Bundesbank. Il fondo di salvataggio della zona euro dovrebbe dunque evitare "questa assurdità”. Deutschland über alles. L'Olanda Il primo ministro olandese Rutte ha detto ieri che per Germania e Olanda è inaccettabile "fornire aiuti quando i paesi beneficiari non alzano le loro età pensionabili", e ha chiesto sanzioni automatiche per gli stati della zona euro pesantemente indebitati. I tulipani alzano la voce. L'Ungheria È finita nel mirino delle agenzie di rating. S&P's ha messo il rating di Budapest (BBB-) sotto osservazione per un possibile taglio e Fitch ha invece portato l'outlook da stabile a negativo. L'Ungheria non fa parte della zona euro, ma si trova lo stesso alle prese con una forte crisi del debito. Tanto che potrebbe dover rivedere l'ipotesi di adottare la moneta unica. Se la Vecchia Europa ha la febbre alta, anche la Nuova non si sente tanto bene. Giappone Il Fmi potrebbe chiedere al Giappone di contribuire agli interventi di salvataggio dei paesi dell'Eurozona colpiti dalla crisi del debito. Lo ha affermato il dg del Fmi Lagarde al termine dell'incontro con il ministro delle Finanze nipponico Jun Azumi. Tuttavia, hanno specificato all'agenzia Kyodo fonti del governo, non esiste ancora alcuna specifica richiesta dell'Fmi al Giappone, che ha già acquistato circa il 20% delle obbligazioni emesse dal fondo salva-stati Efsf. Dopo la Cina, si spera in un'altra crocerossina con gli occhi a mandorla. Putin Dopo avere incassato il via libera degli Stati Uniti all'ingresso della Russia nel WTO, Putin ha lanciato un appello sulle pagine del Financial Times: l'Italia deve essere salvata. Lasciando intendere che Mosca potrebbe partecipare alla ricapitalizzazione da parte dell' FMI, in caso servisse un mega soccorso al nostro Paese. Del resto, lo stesso Putin ha definito l'amico Berlusconi «uno degli ultimi Mohicani della politica». Rating cinese L'agenzia di rating cinese Dagong potrebbe tagliare il rating Usa se la Fed appoggerà un ulteriore allentamento monetario, spingendo per nuovi acquisti di titoli di Stato. Ad agosto Dagong aveva abbassato di un gradino il rating Usa ad “A”, lo stesso livello di Russia e Sud Africa. Siria La Lega araba ha deciso la sospensione della Siria della sue attività a partire dal 16 novembre fino a quando Damasco non metterà in applicazione un piano arabo per porre fine alle violenze.