Tra Umberto e Silvio fine dell'idillio E la Lega se ne va all'opposizione
«Questa volta no. La Lega è stata fedele alla coalizione con la quale ha vinto le elezioni nel 2008. Non ha mai fatto mancare il proprio sostegno ogni qual volta il Pdl chiedesse aiuto. Si è turata il naso quando ha votato per salvare dal carcere il braccio destro del ministro Tremonti, Marco Milanese. Ha appoggiato, benché non lo condividesse, i decreti per dare più soldi a Roma e per tirare fuori dall'emergenza rifiuti Napoli. Ora basta. Se il Pdl vuole sostenere un governo guidato da Mario Monti, noi non ci stiamo. E, come ha detto Bossi, ce ne andiamo all'opposizione». Nonostante il momento di difficoltà della maggioranza, l'entusiasmo dei deputati leghisti si percepisce a pelle. Ora il Carroccio si prepara ad una nuova fase: basta compromessi, basta scelte impopolari che rischiano di tartassare l'elettorato nordista. Ora in casa Lega c'è spazio solo per tornare ad essere un partito di lotta. E basta leggere le dichiarazioni che anche ieri sono arrivate dai vertici del movimento di Via Bellerio per capire che ogni possibilità di aderire a un governo tecnico è impensabile. Ad esempio il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, pensando al prossimo governo parla di «Banda Bassotti» in arrivo a Palazzo Chigi e promette che «la Lega la combatterà». Un chiaro avvertimento nato dalla sensazione che «se fossero vere le indiscrezioni rispetto alla possibile composizione e agli eventuali sostenitori del futuro governo allora saremmo di fronte ad un esecutivo politico e non certamente tecnico. Un esecutivo di connotazione ribaltonistica, che cancellerebbe il bipolarismo, la politica e la democrazia che, con la scusa del bene del Paese, si vogliono sostituire con i poteri della finanza». Meglio, quindi, chiamarsi fuori. Stare all'opposizione come ha ribadito anche il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, il quale avrebbe comunque preferito andare alle urne dato che «la coalizione uscita dalle elezioni del 2008 non è più in grado di governare». E così, dopo 17 anni di alti e bassi, la Lega si prepara a dire addio al Cav. Ma guai a chiamarlo «tradimento». Guai a rievocare il ribaltone del 1994 quando Bossi sfiduciò Berlusconi appena sei mesi dopo aver vinto con lui le Politiche. Ora il premier ha annunciato le proprie dimissioni e così facendo ha liberato la Lega da ogni patto politico. E nemmeno la frase che per anni è riuscita a sistemare i dissensi tra i due partiti («un incontro tra Bossi e Berlusconi risolverà tutto») potrà fare il miracolo. Il Senatùr non ne vuole sapere. L'altra sera ha abbandonato il vertice a Palazzo Grazioli ancor prima che questo finisse lasciando i suoi fedelissimi a difendere le posizioni del movimento. Così le certezze del Cav («con Umberto siamo amici»), le dimostrazioni d'affetto del Senatùr («il governo regge, io non tradisco gli amici») assieme a tanti altri momenti di tensione rischiano di essere ricordate solo nei libri di storia. Un'avventura che ebbe inizio nel 1994. Prima con un sodalizio poi con un "litigio". Passarono anni di gelo anche con insulti (basta ricordare le prime pagine della Padania contro Berlusconi), fino alla nuova alleanza nella Casa delle Libertà nel 2001: anni segnati dalla malattia del Senatùr che per questo si allontanò momentaneamente dal mondo della politica attiva. Un periodo nel quale sembra si sia cementata l'amicizia tra i due leader. Così, dopo la parentesi di opposizione al governo Prodi, Lega e Pdl tornano a governare assieme nel 2008. Ma proprio questa legislatura è stata segnata dai continui vertici tra i due leader per ricucire strappi o pianificare le strategie per il futuro. Alle riunioni di Arcore e Roma i due hanno portano spesso con sé i più fidi collaboratori. A volte era presente anche il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Uomo che più volte è stato causa di litigio tra il Cav e Bossi il quale, spesso e volentieri, è intervenuto in sua difesa («lo difendo io», disse lo scorso anno quando nel Pdl si chiedeva la rimozione del ministro). In periodi più recenti i rapporti tra il Cavaliere e il Senatùr sono divenuti tesi quando Berlusconi ha rotto con Fini (Bossi non condivideva la scelta) e quando il premier, in accordo con i ministri La Russa e Frattini, ha annunciato la concessione delle basi italiane alla Nato per le operazioni in Libia senza consultare l'alleato. Eppure nonostante tutto Bossi non si è mai tirato indietro. E ora il Pdl teme che la Lega da sola all'opposizione avrà gioco facile nell'attaccare l'esecutivo e conquistare larghe fette di elettorato di centrodestra deluse da una più che probabile politica di sacrifici per i cittadini. Dal canto suo il Cavaliere spera ancora di recuperare l'«alleato» che invece, a sentire qualche leghista doc, si starebbe già preparando a rispondergli con una delle sue ormai abituali pernacchie.