Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

La politica è stata commissariata dai mercati

Mercati, operatori alla Borsa di Manila

  • a
  • a
  • a

Dalle Procure ai Mercati, dai Tribunali alle Borse, dai magistrati ai finanzieri, e persino agli speculatori, da Roma a Bruxelles e Francoforte: ora la politica sembra commissariata per intero. E possiamo considerarci fortunati che, grazie alla regìa del Quirinale, e salvo sorprese nell'ultima curva, questo cerchio diabolico stia per chiudersi con la formazione di un governo guidato dal neo-senatore a vita Mario Monti. Che, fra tutti quelli immaginabili o ipotizzati sino a qualche giorno fa, sarebbe il migliore per il completamento di una simile operazione, visto che bisogna ormai subirla per gli errori commessi da chi avrebbe potuto o dovuto evitarla. A sinistra, di certo, ma anche a destra. È un governo, questo in arrivo, che il mio compianto maestro Indro Montanelli avrebbe probabilmente invitato a sostenere con la sua famosissima formula del «naso turato». Come fece con la Dc nel 1976, anche a costo di irritare i suoi amici «laici», per evitare il sorpasso elettorale dello scudo crociato ad opera del Pci di Enrico Berlinguer. Il cui ricordo non è neppure lontanamente paragonabile, per serietà di uomini e radicamento sociale, al Pd odierno di Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi, Dario Franceschini, Massimo D'Alema, Anna Finocchiaro e compagnia bella. Per il nuovo governo in arrivo la maggiore forza di opposizione ha lavorato di più negli ultimi mesi, ma essa potrebbe pagarne le spese più duramente di altre perché l'impatto con le sue prevedibili misure economiche anti-crisi metterà a nudo le debolezze, le contraddizioni, le velleità, la confusione nascoste sinora da Bersani sotto i tappeti dei comizi e delle interviste. E chissà che dalla esplosione del Pd e della sua rete di alleanze, reali o virtuali, non riesca finalmente ad uscire quella sinistra veramente riformista che sarebbe tanto utile al Paese per metterlo finalmente al passo con l'Europa. Dove la sinistra è riuscita a produrre leader, per esempio, come l'inglese Tony Blair. Con la crisi di governo che sta per aprirsi e chiudere in tempi rapidissimi, nonostante i mal di pancia avvertiti purtroppo anche nel Pdl, emerge in tutta la sua drammaticità il filo rosso che accomuna pure nella caduta le figure di Bettino Craxi e di Silvio Berlusconi: due leader modernizzatori, di sinistra e di destra, che un bel po' di reazionari travestiti da progressisti hanno combattuto con una ferocia pari alla disinvoltura. E finendo per segnare più autoreti che reti in una partita, o campionato, che rischia di chiudersi con la retrocessione. Per liberarsi di Craxi i suoi avversari accettarono una ventina d'anni fa che la politica venisse in buona parte commissariata dai pubblici ministeri. Dei quali bastò, per esempio, un mezzo proclama letto davanti alle telecamere nella primavera del 1993 dall'allora capo della Procura di Milano, Francesco Saverio Borrelli, perché venisse bloccato al Quirinale un decreto legge sulla cosiddetta uscita politica dalla vicenda giudiziaria di Tangentopoli. Eppure quel provvedimento era stato studiato e concordato con l'allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Il commissariamento giudiziario di buona parte della politica fu tale che non riuscì l'anno dopo a sottrarsene neppure il primo governo di Berlusconi. Che fu costretto a rinunciare ad un decreto legge limitativo della carcerazione preventiva, prima cioè dei processi, per quanto fosse già stato firmato ed emanato questa volta dall'esigentissimo Scalfaro. Il Cavaliere vi rinunciò per la sollevazione della Procura milanese, affidata ad un proclama dell'allora sostituto Antonio Di Pietro. La Lega ne rimase talmente impressionata, direi intimidita, che il suo ministro dell'Interno, già allora Roberto Maroni, dichiarò di avere firmato il provvedimento con il guardasigilli Alfredo Biondi senza rendersi ben conto del suo contenuto, per quanto fosse avvocato, al pari del ministro della Giustizia. A quello di Maroni seguì il ripensamento di Umberto Bossi. E Berlusconi improvvidamente si arrese per evitare una crisi che sarebbe poi scoppiata lo stesso per i dissensi con la Lega sulla riforma delle pensioni. E dopo un mandato a comparire notificatogli a mezzo stampa dalla Procura di Milano per accuse dalle quali egli sarebbe poi stato assolto nel processo. A quelle indagini e a quel processo ne seguirono altri, della cui pretestuosità finì per convincersi anche il Carroccio, sino a riprendere dopo sei anni l'alleanza con il Cavaliere e ad assumere nel suo secondo e terzo governo la guida del Ministero della Giustizia con Roberto Castelli. Che tentò inutilmente di contenere il commissariamento giudiziario della politica con una riforma dell'ordinamento ridimensionata e contraddetta dal successivo governo diretto da Romano Prodi. Quando i tempi giudiziari si sono rivelati troppo lenti per l'abbattimento del Cavaliere, indebolito dai processi e dai suoi indubitabili errori sopra e sotto le lenzuola di casa ma ben deciso a difendersi, i suoi avversari hanno deciso di cavalcare i mercati, attribuendone a lui una volatilità causata o voluta da ben altri e ben altro. Ed hanno fatto praticamente causa comune con finanzieri e speculatori di varia nazionalità e consistenza: gli stessi probabilmente che all'epoca del primo commissariamento giudiziario della politica avevano fatto con le privatizzazioni molti affari eccellenti, interrotti dalla imprevista discesa in campo politico del Cavaliere e dalla sua ancora più imprevista vittoria elettorale del 1994 e anni successivi. È così accaduto che in funzione antiberlusconiana la sinistra e le sue propaggini abbiano voluto o consentito che quella parte della politica non commissariata dalle Procure venisse adesso commissariata dai Mercati. Ma ora si rischia che le une e gli altri si contendano rovinosamente un Paese che non possono a lungo cogestire, nella latitanza di una politica alla quale sinora ha in qualche modo cercato di supplire con la sua esperienza Giorgio Napolitano. Ma fino a quando vi riuscirà, in tandem adesso con Monti? E a quale prezzo per la democrazia? O per quel barlume che ne rimane quando si lavora più per demonizzare e abbattere l'avversario di turno che per governare davvero, al servizio della gente.

Dai blog