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Ora bisogna inventare una fase nuova

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

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Le dimissioni di Silvio Berlusconi non sono una qualunque crisi di governo. Esse sono la fine di una stagione politica nata sulle rovinose macerie di tangentopoli e costruita con partiti personali, con una selezione di classe dirigente cooptata e con due idee di fondo abbastanza ridicole. La prima è quella del bipolarismo, il nuovo totem ideologico che non significa pressoché nulla. In Italia e in Europa vi sonno sempre stati due grandi partiti di massa (socialisti e democristiani in Germania, in Spagna, in Austria, nella stessa Francia nella quale al posto dei democristiani ci sono i gollisti e via di questo passo). Intorno ad essi nei parlamenti si è costituita poi una maggioranza di governo con alleanze diverse e alternative. Il bipolarismo all'italiana, invece, ha costretto gli elettori a scegliere nelle urne la coalizione e il premier sulla falsa e demagogica proposta che dovesse essere il cittadino a scegliere il presidente del consiglio e l'alleanza di governo e non il parlamento. Idea che nella sua legittimità postula, però, un sistema di tipo presidenziale in cui il cittadino elegge il capo del governo ed il Parlamento ne garantisce il contrappeso democratico. I grandi soloni della sinistra e della destra hanno invece fatto un pasticcio per cui non siamo più né una democrazia parlamentare e men che meno una democrazia presidenziale. La seconda idea-guida è stata l'illusione di creare un sistema federale titolando con questo nome ciò che era invece soltanto un regionalismo avanzato con decentramento fiscale messo sulle spalle di chi, Regioni Province e Comuni, ha la responsabilità di oltre il 60% della spesa pubblica. Non è un caso che nessuno abbia proposto la modifica dell'articolo 1 della Costituzione affermando che «l'Italia è una Repubblica federale fondata sul lavoro». È, insomma, l'illusionismo permanente che ha lasciato vedere cose che non c'erano, dal risanamento dei conti pubblici ai ristoranti pieni, da un sistema federale efficiente ad un equilibrio di poteri assolutamente inesistente. In questo quadro ricco di illusioni il Parlamento, intanto, è stato sterilizzato in ogni sua funzione. Questa stagione è finita, dunque, ma la nuova non è stata ancora costruita. Il probabile governo Monti offre quel lasso di tempo (15 mesi) entro il quale può e deve esserci un riordino dell'intero sistema politico per costruire una stagione diversa sotto il profilo della rappresentatività e della serietà. L'innesco del riordino parte da quel processo di scomposizione che già si intravede all'orizzonte di quel partito, il Pdl, che più di ogni altro ha introdotto quel modello politico che sta finendo. Un partito fatto di aggregati culturali profondamente diversi (la componente socialista, quella democristiana, quella liberale, quella ex-missina con uno spruzzo di radicalismo intellettuale) tenuto insieme dal carisma di Silvio Berlusconi. Il progressivo declino del capo indiscusso non potrà che produrre una scomposizione e un riemergere delle culture politiche di provenienza. È un processo naturale che si potrà favorire o contrastare ma che ha una sua propria forza di ineluttabilità e innescherà un effetto domino anche verso una sinistra italiana da troppo tempo impegnata nelle ricerca di una terza via che non esiste. La sinistra italiana, infatti, non potrà che essere socialista o non è come accade in tutta Europa e in tutto il mondo e in quanto tale può essere davvero un'alternativa di governo. Ma è l'implosione del Pdl che attiverà questo processo di scomposizione e ricomposizione e che europeizzerà, dopo 20 anni di follie, il nostro sistema politico. Sul piano governativo, invece, Mario Monti recupera credibilità sul piano internazionale e sui mercati finanziari e ne abbiamo bisogno urgente. Noi abbiamo avuto la fortuna di averlo nel triennio 1989-1992 tra i nostri quattro consulenti con Paolo Savona, Antonio Pedone e Giancarlo Morcaldo al ministero del Bilancio e ne conosciamo le virtù. A queste si sono aggiunte le esperienze tutte politiche fatte come commissario europeo alla concorrenza completando, in tal modo, la sua formazione. È vero, come ha già detto il nostro direttore, che il governo Monti è la resa della politica come fu il governo Ciampi ma è altrettanto vero che il governo Monti è l'effetto della resa della politica e non la causa. La politica, intesa come sistema dei partiti che caratterizza tutte le democrazie occidentali, si arrese infatti già nel 1994 procurando quelle anomalie prima descritte. Il suo primato la politica lo recupererà se da questa scomposizione verranno fuori protagonisti in grado di governare quel riordino del sistema politico senza del quale l'egemonia della finanza nazionale ed internazionale si consoliderà definitivamente e della quale piaccia o no, Mario Monti è un autorevole rappresentante.

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