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L'ultima volta del premier, e le donne vestono in nero

Biancofiore, Brambilla e Prestigiacomo alla Camera il 12 novembre (Foto Pizzi)

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L'ultimo giorno da presidente del Consiglio di Silvio Berlusconi è qualcosa a metà tra la fine dell'anno scolastico e un funerale. C'è aria di smobilitazione, ma se i deputati dell'opposizione ridono e scherzano, quelli della maggioranza non ne hanno alcuna intenzione. Il colore della giornata è il nero (tra le poche eccezioni Anna Maria Bernini in bianco). Si presentano «in lutto» i ministri Mara Carfagna, Stefania Prestigiacomo e Michela Vittoria Brambilla. Ma anche le deputate Annagrazia Calabria, Michaela Biancofiore, Mariarosaria Rossi, Melania Rizzoli, Elvira Savino, Deborah Bergamini (che sfoggia una vistosa coccarda tricolore), Gabriella Giammanco, il viceministro Catia Polidori. Qualcuna osa una camicia chiara, altre sfumano verso il grigio, ma le loro facce bastano per capire che non è giorno di festa. È vero, domani saranno ancora a Montecitorio assieme al deputato Berlusconi, ma non sarà certo la stessa cosa. Perfino il capogruppo leghista Marco Reguzzoni ha scelto una cravatta con un tono di verde talmente scuro che somiglia al nero. Prima che l'ultima legge del governo ottenga il via libera, l'Aula recita i suoi riti. Gianfranco Fini ripete con voce cantilenante la frase «pongo in votazione l'articolo....favorevoli, contrari, astenuti, la Camera approva». Tutto si svolge con meccanica incoscienza, anche se l'Idv alterna sì, no e astensioni e dà l'impressione di sapere perfettamente cosa sta accadendo. Si vota per alzata di mano. Le braccia salgono e scendono, ma è chiudendo gli occhi che si ha l'impressione di una preghiera funebre con il sacerdote che recita le litanie. Ora pro nobis. Anche gli ordini del giorno vengono approvati in blocco, senza obiezioni, come si fa prima che tutto finisca. Poi cominciano le dichiarazioni di voto. Anche qui si oscilla tra i toni trionfanti di chi celebra il suo 25 aprile e quelli più mesti di chi, al contrario, scrive i titoli di coda di una storia iniziata 17 anni fa. Così il capogruppo dell'Idv Massimo Donadi, con il pensiero evidentemente rivolto al fascismo e alle rivoluzioni arabe, scomoda parole come «ventennio» e inneggia a una «nuova Primavera». Quello di Fli Benedetto Della Vedova fa proprio l'anagramma che circola già in rete trasformando «Mario Monti» in «Rimontiamo». C'è anche spazio per le solite scene a base di urla e insulti. Forse le ultime visto che da domani gran parte dei presenti sosterranno lo stesso esecutivo tecnico. Quando il bolzanino Karl Zeller denuncia «le decisioni adottate nel maxiemendamento, in ordine al patto di stabilità per le province autonome e per la regione Valle d'Aosta», dai banchi della maggioranza qualcuno urla: «Ridateci i soldi». Va peggio a Dario Franceschini che ingaggia un duello a distanza con il Pdl Antonello Iannarilli. Il capogruppo Pd ricorda che «quello che è avvenuto, è avvenuto grazie al lavoro delle opposizioni». «Dei traditori, dei venduti» è la replica. Poi spiega che, visti i sondaggi, i Democratici avrebbero avuto più convenienza ad andare subito al voto. E in Aula esplode il putiferio. «Prima devi vincere» urla Iannarilli. Mentre i banchi della Lega lanciano il grido «elezioni, elezioni», che ripartirà quando Franceschini terminerà il suo discorso. Intervento in cui brilla, come perla da consegnare ai posteri, una frase che è l'esatta fotografia dell'opposizione: «Abbiamo concordemente deciso di assumere un voto differenziato». Cioè tutti d'accordo nel fare ognuno quel che gli pare. Da registrare a margine l'iperattivismo di Enrico Letta, il vicesegretario Pd che in questi giorni si è mosso in triangolazione con il Colle e la maggioranza. Prima parla con Massimo D'Alema, poi con Walter Veltroni, infine con Beppe Fioroni. Il tutto mentre Pier Luigi Bersani resta seduto al suo posto. Sui banchi del governo, invece, fianco a fianco, soli, Giulio Tremonti e Umberto Bossi. Sembrano quasi smarriti. Poi il Senatùr si alza e si dirige verso Reguzzoni e il deputato Pd Daniele Marantelli, ufficiale di collegamento tra Democratici e Carroccio. E Giulio rimane a fissare l'Aula. Anche questa immagine, segna la fine di un'epoca. Prende la parola Fabrizio Cicchitto e lo fa citando Le Monde: «I mercati sono riusciti in quello in cui non è riuscita la sinistra italiana, cioè a far cadere il governo Berlusconi». Frecciata a Franceschini in un discorso che è, a tutti gli effetti, la commemorazione di ciò che è stato e più non sarà. E non è un caso che, proprio dopo questa frase, Berlusconi faccia il suo ingresso in Aula. Immediato scatta l'applauso e l'urlo «Silvio, Silvio». Lui resta qualche secondo in piedi con la faccia tesa e il labiale tradisce un «grazie, grazie». Il capogruppo Pdl riprende a parlare, ricorda quanto fatto dal governo in questi anni, ringrazia il Cavaliere. Lui annuisce, batte le mani, scrive e riceve biglietti. «Ci auguriamo - conclude Cicchitto - che questa stagione possa avere un seguito sul terreno del civile confronto e non dello scontro frontale che avete ricercato anche in questa occasione». È la fine e Silvio può alzarsi per ricevere l'ultima standing ovation. Mario Pepe chiede la parola per «salutare e prendere congedo dai ministri e dai sottosegretari del governo Berlusconi». Anche Domenico Scilipoti interviene tra le urla e le risate dell'opposizione. «Si sta facendo un colpo di Stato» spiega. Poi gli viene chiuso il microfono. Lui si agita, chiede di poter continuare, scrive e espone in tutta fretta il cartello «Vergogna Fini». Il presidente lo richiama: «Onorevole Scilipoti, il suo tempo è scaduto». Mai frase fu più indicata.

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