"È un ribaltone con il consenso dei ribaltati"
«Stiamo assistendo ad un ribaltone col consenso dei ribaltati. E a questo non possiamo che dire no». Il ministro per, l'attuazione del programma di Governo, Gianfranco Rotondi, prende il problema di petto. Non usa il politichese, non è suo costume e non è questo il momento. L'Italia è a un bivio, l'esperienza di governo anche. C'è bisogno di chiarezza, come ci ripetono fino alla noia i nostri partner europei e come più volte ha sollecitato il Capo dello Stato. E allora partiamo proprio da lì, da quella nomina di Mario Monti a senatore a vita, fatta dal Colle, che sa tanto di investitura per il premierato d'emergenza nazionale... «Dico no al governo Monti perché non ci sto a rappresentare l'immagine dell'Italia come se Berlusconi fosse 'il' problema. Il problema dell'Italia è un'opposizione che per tre anni e mezzo è andata in giro per il mondo a raccontare che l'Italia si trovava sull'orlo del baratro per colpa di Berlusconi, con la conseguenza che sull'orlo del baratro i mercati ci hanno portato davvero. Paghiamo questa propaganda». Quando afferma che il governo di unità nazionale non avrebbe tutti i voti del Pdl, oltre a sé a chi pensa? «A tanti colleghi... Penso a quelli provenienti da An, che sono per il no; ma anche a tanti eletti in Forza Italia. Su una scelta del genere il Pdl rischia di spaccarsi, inutile negarlo». Alfano non parla di spaccatura, bensì di confronto. C'è spazio nel prossimo ufficio di presidenza per riproporre ciò che accadeva anche con la Dc, ossia uno scontro anche serrato ma alla fine una posizione unitaria? «Deve essere così. Con la decisione di convocare l'ufficio di presidenza Alfano si conferma un segretario autorevole e capace. È la soluzione giusta rispetto all'ipotesi di una forzatura o di una fuga solitaria, così potrò fare una battaglia interna a testa alta, con chiarezza. E sono convinto che la vinceremo. Nessuno di noi può essere disposto a far passare Berlusconi e la sua coalizione come la compagnia degli infami e trattare al contrario gli amici dei banchieri tedeschi come salvatori della Patria». Aveva in qualche modo sentore della preparazione effettiva dell'ipotesi Monti? «Mi sembra una strategia pensata a tavolino. Non dal Quirinale, nella maniera più assoluta; ma il nome di Monti arriva confezionato da chi mena la danza nella sinistra italiano, e cioè quel mondo di banchieri, editori e maître a penser che considerano Berlusconi l'usurpatore da combattere. Diciamolo: i poteri forti dopo 17 anni hanno vinto. E ora magari ci consegnano con Monti la loro parte migliore; ma è ovvio che non possiamo accettare una cosa del genere». Il bipolarismo - lei lo ha detto in più occasioni - è un valore irrinunciabile per il Pdl. È un concetto che non subisce deroghe neanche in tempi gravi come quelli attuali? «Certo che può subire deroghe. Nel bipolarismo, ma anche nel bipartitismo, quando in ballo ci sono gli interessi del Paese maggioranza e opposizione votano scelte comuni. Ma il presupposto è che non si confondano tra di loro, in governi tecnici fatti da esponenti politici, come da alcune voci sembra probabile. La verità è che abbiamo un centrosinistra organico che vuole il ribaltone». Tornando a Monti e alla sua nomina. Giudizio? «Il Presidente della Repubblica ha voluto dare un riconoscimento a Mario Monti. È una scelta che contraddice un certo orientamento bipartisan di non fare più senatori a vita, e ora che si parla di costi della politica e dimezzare il numero degli eletti come parlamentare non sono entusiasta che vi sia un parlamentare in più». Ma è proprio quel parlamentare che potrebbe essere designato premier. E se la sua battaglia all'interno del Pdl non riuscisse - come lei è convinto - a diventare la posizione ufficiale del partito? «Piuttosto che votare la fiducia a un governo tecnico, poco importa se a presiederlo sia o meno Mario Monti, sono pronto a dimettermi. I nostri voti - spiega riferendosi anche a Franco De Luca e Mauro Cutrufo, ndr - sono a disposizione del presidente Berlusconi. Noi non voteremo la fiducia a un governo tecnico, ma non vogliamo far diminuire la forza del Pdl, nelle cui liste siamo stati eletti. Per questo, ove i nostri voti finissero con il non essere coerenti con la politica del partito di Berlusconi, potremmo dimetterci da parlamentari, facendo subentrare a noi chi ci segue nelle liste del Pdl. In questo modo, la forza di voti di Berlusconi resterebbe intatta».