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Bossi si sente tradito: "Meglio il voto"

Umberto Bossi, della Lega Nord

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Erano le 17.30. Nell'Emiciclo di Palazzo Montecitorio stava parlando il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto. In quel momento, con l'acclamazione «Silvio! Silvio!», il Pdl accoglieva in Aula il Cavaliere. Ma la Lega no. Se ne è stata in silenzio. Nessun appluauso. Anzi, mentre i berlusconiani celebravano il loro presidente, i Lumbard gridavano a gran voce: «Voto!, Voto!». È la fine di un'epoca. È la fine di un rapporto nato nel 1994 e che, dal patto di Linate del 1999, non si è più rotto. Eppure da ieri qualcosa, forse, non sarà più come prima. L'Umberto per la seconda volta, si è sentito tradito. La prima fu nell'aprile scorso quando il premier, in accordo con i ministri Ignazio La Russa e Franco Frattini, annunciò la concessione delle basi italiane alla Nato per le operazioni in Libia senza consultare l'alleato. Bossi si irritò per non essere stato interpellato e minacciò addirittura di togliere l'appoggio all'esecutivo. Ieri l'epilogo. La decisione del Cav di sostenere il governo Monti ha mandato in frantumi l'alleanza. Un tradimento che, chi nel Carroccio conosce bene il Senatùr, difficilmente passerà senza lasciare segno. Eppure nonostante tutto Bossi è sembrato cercare di capire le ragioni dell'«amico Silvio» che si trova nella difficile situazione di aver rotto l'asse con i nordisti per evitare una spaccatura nel proprio partito. Il leader della Lega riconosce all'ormai ex alleato di avere le «mani legate» di fronte ai veti incrociati all'interno del Pdl. Ma il Carroccio non arretra di un millimetro. Se il governo sarà tecnico, ripetono i Lumbard, da lunedì saremo all'opposizione. Anche accettando la sfida di essere tacciati di irresponsabilità, ammettono. Ma questo ai leghisti non interessa. Nel movimento del Sole delle Alpi la parola d'ordine resta «opposizione dura», anche se si profila l'opportunità di valutare di volta in volta sui singoli provvedimenti. Insomma, il vertice a Montecitorio tra il premier, Maroni e Calderoli, dopo la colazione tra Berlusconi e Monti, non ha «cambiato la linea», assicurano in casa leghista. E c'è chi «guarda» anche alla base, indispettita dall'interventismo del Capo dello Stato. Certo qualche timore, in questi giorni di fibrillazione, resta. A partire dalla consapevolezza che le camicie verdi possano passare da irresponsabili, mentre le altre forze politiche, a partire dall'invisa Udc, indossano le vesti dei salvatori di patria, gli unici ad avere a cuore il futuro di un Paese alle prese con uno spread da febbre da cavallo. E c'è chi, tra i denti, dà fiato a un altro timore che serpeggia tra gli uomini della Lega: che l'esecutivo del Professore, incassata la maggioranza, metta mano alla legge elettorale, lasciando il Carroccio col cerino in mano. Ma molti tra i padani non vedono l'ora di «liberarsi» del peso del governo: «Ora due sono le ipotesi che si profilano all'orizzonte: se il governo Monti andrà avanti farà scendere lo spread e ridarà fiato ai mercati, ma sarà costretto a varare misure talmente impopolari da dare ragione, alle urne, alla Lega». «Oppure - è l'altra ipotesi - la montagna partorirà il topolino, e tra assenze e prese di posizione contrastanti, alla fine non riuscirà a varare le misure che ha in programma. In questo caso se riuscirà a mangiare il panettone di certo non vedrà la colomba». Il nodo, però, resta l'alleanza con il Pdl che potrebbe vedere il tramonto, sacrificata sull'altare dell'esecutivo Monti. Eppure ai cronisti che gli domandano se ci sarà un rottura con il Cavaliere, il Senatùr replica tagliando corto: «vedremo». Dopotutto il 2013 è lontano e, si commenta in casa lega, «se Berlusconi è costretto a voltare le spalle all'alleato di sempre non è detto che in futuro non ci si ritroverà insieme a spartire i dividendi con una Lega fedele al voto popolare». Intanto, per le strade, la gente esulta e, lapidario, l'europarlamentare leghista Matteo Salvini, si sfoga: Il popolo italiano è bravo nel salire sul carro del vincitore».

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