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Berlusconi si ribella: "Il nostro sì non sarà a scatola chiusa"

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Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in un'immagine di archivio

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L'unica cosa certa è un Berlusconi infastidito. Febbricitante ma seccato, turbato. Gli ha fatto impressione vedersi archiviato nel breve volgere di qualche ora. Vedere Mario Monti che sale al Colle per due ore l'altro ieri. E tornarci ieri, stavolta senza incrociare Napolitano. «È andato a ricevere la lista dei ministri», dicono malignamente nel Pdl. Il primo punto è proprio questo: nel partito del premier non vedono di buon occhio l'attivismo del Quirinale. La considerano un'autentica invadenza. Come se al Colle si fossero già decisi i ministri dell'esecutivo Monti. Il tutto senza consultare Berlusconi. La politica è anche fisicità. Davanti palazzo Grazioli, residenza di Berlusconi, non stazionano più cronisti se non i soliti irriducibili e persino le transenne sono state ridotte. Sono state portate davanti palazzo Giustiniani, dove si è andato a sistemare Mario Monti perché è lì, tra palazzo Madama e il Pantheon, che ci sono gli uffici dei senatori a vita. Di più. Il candidato premier ha persino incontrato per qualche ora il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, come se già si studiassero le misure da prendere. «Ma io sono ancora il presidente del Consiglio, ancora non mi sono dimesso», protesta Berlusconi con i suoi. E ripete ossessivamente un concetto: «Io mi sono reso disponibile per fare un passo indietro. L'ho fatto per il bene del Paese. Non sono uscito di scena». Come se non bastasse al Cavaliere sono stati inferti altri due colpi sul terreno che gli fa più male: la politica estera. Giovedì Obama ha chiamato direttamente Napolitano per informarsi della situazione, ieri è stata la volta di Sarkozy. E Berlusconi? Bypassato, come se fosse stato rapidamente archiviato, depennato, cancellato, sparito dalla scena politica. È per tutto questo che il Cavaliere decide di reagire. Non vuole rompere con la Lega, il Senatùr vuole il voto e basta, senza partecipare a nessun tipo di governo tecnico. E vuole, Berlusconi, tenere assieme tutto il Pdl, all'interno del quale ci sono fortissime resistenze. In Transatlantico ieri sera passeggiava uno sconsolato Marco Marsilio, deputato pidiellino romano: «Il governo Monti per noi è comunque una fregatura. Lasciamo i ministeri. Se va bene, diranno che è merito loro. Se va male, diranno che l'Italia è stata lasciata da Berlusconi ormai già fallita». Così, Silvio ha un sussulto di dignità. A metà pomeriggio si consulta con Umberto Bossi e decide che forse è il caso di salire al Colle e fare il nome di Lamberto Dini. Un politico ma tecnicamente ineccepibile soprattutto sul fronte economico (visto che si pensa a una squadra quasi tutta tecnica). Magari Mario Monti può andare all'Economia, ragionano nel Pdl. È soprattutto stizza. Berlusconi continua a dire: «Ho fatto un passo indietro nell'interesse del Paese». Aggiungerebbe che si aspettava un po' più di rispetto, il riconoscimento di un gesto e soprattutto di un ruolo. Non è stato così. Anzi, si va avanti come se lui non ci fosse più con quella che un esponente del premier giudica «un inutile tentativo gratuito di umiliarlo». Di qui la reazione di stizza. «Sembra già tutto fatto. Programma di governo, lista dei ministri. Dobbiamo accettare e basta», spiega il premier ai suoi. Non a caso Fabrizio Cicchitto uscendo dal vertice serale a palazzo Grazioli avverte: «Per formare un governo occorre condividere un programma e partecipare alla composizione dell'esecutivo». Insomma, il Pdl vuole voce in capitolo. La chiede. La reclama. In mezzo ci sono le fughe in avanti. Franco Frattini sbraita per essere riconfermato agli Esteri. Con un attivismo a tratti goffo come lo scivolone sui fascisti. A questo punto è ben difficile possa restare anche se il Cavaliere in privato continua a dire: «Franco è leale». Non è la Carlucci. Si vedrà. Discorso a parte è quello di Francesco Nitto Palma. Quando venne nominato ministro della Giustizia, ad agosto, il Capo dello Stato fece presente che non sarebbe stato corretto fosse tornato a fare il magistrato alla fine del mandato. Il Guardasigilli accettò il principio ma fece presente che gli mancava poco tempo per ottenere il massimo della pensione. Non bastò. Si dimise. Oggi si ritrova a dover fare gli scatoloni. Napolitano gli ha fatto sapere di non aver dimenticato il «sacrificio» e dunque di essere pronto a chiedere la sua riconferma. Per il resto i nomi che circolano sono quelli di Giuliano Amato e Gianni Letta sottosegretari alla presidenza (uno per il Pd, l'altro per il Pdl), Vincenzo Camporini o Rolando Mosca Moschini alla Difesa, il Terzo polo spinge per Rocco Buttiglione all'Istruzione, si parla di Umberto Veronesi alla Sanità e Lorenzo Bini Smaghi all'Economia. Monti lavora al discorso di insediamento che ricalcherà temi e concetti della lettera inviata da Berlusconi alla Ue. Un modo anche per consentire al Pdl di dare la fiducia ed essere coinvolto nel governo. Ma il partito del premier deciderà oggi, nell'ufficio di presidenza del pomeriggio. In serata dovrebbe salire al Colle. Forse per dimettersi. Domani mattina consultazioni, poi l'incarico prima dell'apertura dei mercati.

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