La disumana tenacia del Cav
Tutti i peculiarissimi aspetti sociali, economici e politici della sinistra vicenda che si sta svolgendo in questi giorni nel nostro infelice Paese saranno per anni, decenni e forse secoli oggetto di legittimi studi specialistici. L’argomento sarà a lungo rievocato, rianalizzato e reinterpretato da armate di esperti di ogni possibile ramo. Ma per cogliere il senso di ognuno degli aspetti veramente decisivi non è necessario aspettare il parere degli specialisti. Basta rivolgersi ad alcuni di quei singolari dilettanti, esperti soltanto nel ramo "passioni umane", che sono i grandi scrittori. Per esempio, su quel fattore tutt’altro che irrilevante della crisi esplosa nel campo berlusconiano che è la sfacciata ingratitudine dei traditori del Cav, tutte le spiegazioni politologiche si rivelano inani o addirittura risibili di fronte alla lucida saggezza depositata in certi grandi testi della antica letteratura moralistica. Ecco, sull’argomento, una massima di Luciano (II secolo): «Il cuore dell’uomo ingrato somiglia alle botti delle Danaidi; per quanto bene tu vi possa versare dentro, rimane sempre vuoto». Eccone un’altra anche più aspra di Nietzsche (1978): «Un’anima delicata è angustiata dal sapere qualcuno obbligato a ringraziarla; un’anima gretta, dal sapersi obbligata a ringraziare qualcuno». Ed ecco due ferocissime righe di Tacito (I secolo ): «I benefici sono graditi finché possono essere ricambiati, quando sono troppo grandi, invece di gratitudine generano odio». Sul medesimo argomento strepitoso mi sembra inoltre il sarcasmo della breve nota con cui uno dei più grandi narratori del Novecento, quando nell’estate del '45 poté gettare un primo sguardo sulla Parigi appena liberta, commentò quell’esperienza nel suo diario: «I giornali hanno cambiato nome, proprietario, redattori. "Le Petit Parisien" si chiama adesso "Le Parisien Liberé". Tutti i giornali si chiamano liberati, tutto è stato liberato, perlopiù dagli inglesi, dagli americani e dai canadesi. Anche da qualche reggimento francese, e a molti non andrà mai giù di dovere la libertà a quegli stranieri» (George Simenon, "Memorie intime", Adelphi). A quei nuovi comici credenti nella dèa Storia che persino negli insensati fatti italiani di questi giorni, anziché scorgervi una delle tante possibili espressioni della natura infernale del loro idolo, vorrebbero al contrario vederci una conferma della loro fede nella sua assoluta razionalità e bontà, converrebbe riflettere un momentino. E magari farlo sulla famosa battuta con cui Macbeth conclude la sua tragica esistenza: «La vita non è altro che un'ombra che cammina; un mediocre attore che si pavoneggia e si dimena sul palcoscenico per il tempo della sua parte e poi non si ode più oltre. È una favola narrata da un idiota, piena di strepito e furia e senza significato alcuno». Infine, sulla sovrumana tenacia, secondo molti insensata, con cui Berlusconi ha tentato fino all'ultimo di sottrarsi al suo destino di capro espiatorio, più illuminante di qualsiasi dotta analisi specialistica potrebbe risultare quel passo del Bhagavad Gita in cui accade che il giovane guerriero Arjuna, angosciato dall'orrore della battaglia che deve affrontare, pone al conducente del suo carro, che altri non è che il dio Krsna, delle domande che in fondo sono le stesse che si pone ciascuno di noi in qualche momento decisivo della sua vita: chi agisce quando si agisce? e che cos’è l’atto? perché esiste la violenza? come riconoscere il divino? qual è l’origine degli esseri? è possibile liberarsi dai condizionamenti? E la risposta del dio è che malgrado l’orrore della contesa ci si deve comunque rassegnare a battersi. Nonché conforme all’esortazione di Krsna l’eroica tenacia del Cav è, inoltre, l’espressione di un ethos vetero-borghese che una compagnia di giro piccolo-borghese come la nostra gauche di lotta e salotto non può non trovare incomprensibile.