Il realismo del Cavaliere
Il governo ieri ha fatto un test sulla sua tenuta e il risultato numerico e politico è inequivocabile: 308 voti alla Camera sul rendiconto sono il segnale che la maggioranza non c’è più e la coesione dei gruppi che la compongono è saltata. Ora Berlusconi ha davanti a sé due strade: guidare la crisi o esser guidato dalla crisi. Tra avere in mano il volante e stare sul sedile posteriore c’è una bella differenza. Berlusconi può contare sulla regia attenta di Napolitano e sul fatto che l’opposizione ha mostrato di avere solo il «piano A» (costringerlo alle dimissioni) ma non ha neppure un’idea di «piano B» (che alternativa costruire dopo la sua uscita). Il Cav è salito sul Colle avendo cura di non indebolire la sua posizione. Non cercherà un altro voto di fiducia per confermare il suo governo, ha capito che si sta uscendo da una fase politica durata 17 anni. Siamo già nel «post», la partita e lo schema sono diversi e mentre i suoi avversari sono ancorati all’antiberlusconismo, lui sta uscendo dal berlusconismo. Per andare dove? Intanto si abbandonano gli scenari degli irriducibili che volevano far sembrare il Cav come il giapponese che nella giungla fa la guerra, ma Tokio è già caduta. Berlusconi ha capito che è ora di fare una scelta politica logica e lineare, la cosa giusta e onorevole per la sua storia, una proposta che poggia sul pilastro del programma e degli impegni che abbiamo preso con l’Europa. Tre sono i punti chiave della svolta: 1. Votare la legge di stabilità con il maxiemendamento chiedendo il concorso responsabile dell’opposizione; 2. approvare un decreto che contiene alcune misure urgenti per il controllo dei conti e il rilancio dell’economia; 3. annunciare le dimissioni da Palazzo Chigi con la richiesta di nuove elezioni. Tutto questo fa parte di un gioco trasparente in cui gli interessi del Paese vengono tutelati in un momento di straordinaria tensione sul nostro debito pubblico e la volontà popolare non viene calpestata. Un nuovo governo di centrodestra sembra improbabile e le larghe intese si sono già ristrette. Resta il voto ed è mille volte meglio del vuoto.