Il Professore rottama il "compagno" Bersani
Ci sono cose che si pensano ma non sempre è bene dire. Ad esempio se sei il padre nobile del Pd, ex presidente della Commissione europea, ex premier ed unico a battere per ben due volte Silvio Berlusconi negli ultimi 17 anni, non è bene dire che Pier Luigi Bersani, pur bravo, non convince. Romano Prodi lo ha fatto ieri in un'intervista a Repubblica abbandonandosi ad un momento di sincerità che presto lo ha costretto a correre ai ripari. Interrogato sulle prospettive del suo partito il Professore non ha usato metafore: «Bersani è una persona eccellente, di grandi capacità, posso dirlo, è stato mio ministro, ma non riesce a "uscire". Non è confortante leggere, con quel che succede, che nei sondaggi il Pd non riesce a crescere come ci si aspetterebbe». Difficile sostenere non si tratti di una bocciatura. Anche perché, contestualmente, Prodi lancia Mario Monti come unico in grado di gestire il post-Cavaliere: «Monti. È l'ora di Monti. Non si può aspettare ancora. All'Italia serve un uomo rispettato in Europa e nel mondo, una garanzia di autorevolezza, e Monti è questa persona». Ora a nessuno sfugge che sabato, parlando a piazza San Giovanni, Bersani era sembrato molto più incline ad un percorso che portasse verso le elezioni piuttosto che verso un governo di transizione. In fondo, pur convinte che il premier non abbia più la maggioranza, le opposizioni sanno che ad oggi le possibilità di una soluzione parlamentare alternativa sono veramente remote. E forse non è un caso che, pur annunciando un impegno comune per una mozione di sfiducia, sono in molti a spiegare che prima di presentare il testo occorre verificare bene i numeri. Anche solo per non ripetere le figuraccia del 14 dicembre. Così, mentre Bersani prova a far quadrare i conti, ecco arrivare la «bordata» di Prodi. Certo, il Professore se la prende anche con Berlusconi spiegando che «un momento così brutto, bloccato, pericoloso, l'Italia lo ha vissuto solo alla vigilia del 25 luglio '43. Ma allora avevamo la guerra in casa». Poi, nel suo editoriale domenicale sul Messaggero, eccolo analizzare il G20 di Cannes: «Più che a un processo contro l'Italia abbiamo assistito a un processo contro il governo italiano, ritenuto da tutti gli organismi internazionali non credibile e perciò non degno di fiducia». Ma a far rumore sono soprattutto le parole sui Democratici. Non è un caso visto che, nei giorni scorsi, il Professore era stato accostato al «rottamatore» Matteo Renzi. Ed erano stati tanti quelli che avevano letto nella presenza di Arturo Parisi al Big Bang di Firenze una sorta di «benedizione» prodiana all'evento. Se a questo si aggiunge che le critiche arrivano dopo la «calorosa» accoglienza riservata al sindaco di Firenze da militanti e vertici del partito sabato a Roma, il gioco è fatto. Si scaglia contro questa interpretazione, rilanciata ieri dal Tg di La7 delle 13.30, la portavoce di Prodi e deputata democratica Sandra Zampa: «Fermo restando che il passaggio dell'intervista non interpreta al meglio il pensiero del Presidente, mi chiedo, quando anche non fosse così, che cosa c'entri questo con Renzi e la circoscritta, debole contestazione riservatagli da alcuni militanti del Pd. Perché si insiste tanto nel voler legare il nome di Renzi a quello del Presidente Prodi?» E altri due prodiani doc come Franco Monaco e Marina Magistrelli ci tengono a far sapere che «Prodi ci dice che il Pd può ancora crescere ed esprime un lusinghiero apprezzamento per Bersani». Sarà, ma l'impressione è che ci si trovi di fronte alla classica excusatio non petita. Dal canto suo il segretario prova a disinnescare la bomba: «Tra me e Prodi la storia è antica, non c'è mai stato nessun problema. Io rispondo alle sue osservazioni dicendo che siamo partiti da condizioni difficili e certamente facile non è. Abbiam solo quattro anni e siamo già il primo partito del Paese. Noi siamo stati ben peggio di questo. Siamo migliorati, sondaggi compresi. E questo ci fa dire che possiamo ancora migliorare. E miglioreremo, con l'aiuto generoso di tutti. Il nostro servizio è al Paese e non è guardarci la punta delle scarpe». Dopo le Europee del 2009, segretario Dario Franceschini, il Pd aveva il 26%, sette punti in meno delle Politiche del 2008. Oggi, a distanza di due anni e con la maggioranza in evidente difficoltà, viene accreditato dai sondaggisti tra il 26% e il 28%. Il che significa un miglioramento che va dallo 0 al 2%. Un punto all'anno. Per tornare al 33% di Walter Veltroni servirebbero altri 5 anni. E le elezioni sono nel 2013, forse prima.