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Il riformismo a chiacchiere del segretario del Pd

Bersani in piazza San Giovanni per la manifestazione del Pd

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Pier Luigi Bersani è stato ancora una volta superato dal comico che lo imita, Maurizio Crozza. Il quale di fronte al dramma della sua Genova ha sentito l'opportunità di interrompere il proprio spettacolo perché -ha detto al telegiornale di Enrico Mentana- «lo show non deve sempre andare avanti». Ma né il dramma di Genova né i guai più generali dell'Italia, alle prese con una crisi economica di dimensioni planetarie e con la speculazione di mercati eccezionalmente volatili, non ha voluto risparmiarsi e risparmiare ieri agli italiani lo spettacolo politico allestito nella piazza romana di San Giovanni. Al quale solo il buon Marco Follini, approdato nel Pd dall'Udc negli anni scorsi, gli aveva tanto saggiamente quanto inutilmente consigliato di rinunciare. Da quella piazza il segretario del maggiore partito di opposizione ha avuto la disinvoltura, fra l'altro, di avvolgersi nella bandiera, e nel ricordo, anche di Alcide De Gasperi, oltre che di Altiero Spinelli e di Romano Prodi, per vantarsi europeista e reclamare pure in questa veste la cacciata di Silvio Berlusconi. Che «deve andare a casa», ha gridato aggiungendo che «o ci va da solo, o ce lo manderemo noi, o il Parlamento, o le elezioni». Ma da quella stessa piazza, alla vigilia delle storiche elezioni del 1948, un antenato politico, diciamo così, di Bersani aveva riservato a De Gasperi ben altro trattamento. Il segretario del Pci Palmiro Togliatti ne aveva promesso e annunciato la cacciata dalla guida del governo «a calci», ovviamente nel sedere. La colpa dell'allora presidente democristiano del Consiglio era quella di vedere più lontano della sinistra. Che nella sua parte purtroppo più numerosa continua, ahimè, ad avere la vista corta. L'europeista Bersani, in verità, ha avvertito la necessità di criticare i presunti timonieri d'Europa Sarkozy e Merkel, ricordandone la natura politica di «destra», per il modo in cui hanno trattato e stanno trattando la Grecia in crisi. Ma non si è fatto cogliere da nessun dubbio sul modo in cui i due stanno trattando l'Italia, la cui crisi non è neppure paragonabile a quella della Grecia. La derisione del presidente del Consiglio italiano ostentata dal presidente francese e dalla cancelliera tedesca, nonostante le precisazioni successive ad una loro infelicissima conferenza stampa, è rimasta nel repertorio del segretario del Pd in funzione antiberlusconiana, per poter accusare l'attuale governo di avere praticamente degradato il Paese. E per promettere che la sinistra saprà «riportarlo» in Europa. Ma con quale politica, con quali scelte concrete, con quali risposte alle richieste della Banca Centrale Europea e dell'Unione, da parte del governo che dovrebbe prendere il posto di quello in carica grazie alla disponibilità delle opposizioni a farne parte o a sostenerlo, Bersani non è stato in grado neppure ieri di dire. Il segretario del Pd ha potuto solo demonizzare una destra che, secondo lui, non può che essere «cattiva», e ripetere per l'ennesima volta che «fra qualche settimana presenteremo il nostro progetto per la ricostruzione»: un annuncio che proprio per il suo carattere generico e dilatorio è bastato alla folla, la solita che la sinistra riesce a mobilitare, per sentirsi soddisfatta e applaudire. Una folla dalla quale si capisce perché avessero potuto levarsi, prima del comizio di Bersani, proteste e insulti contro l'arrivo in piazza anche del sindaco di Firenze Matteo Renzi. Che, per nulla intimidito dalle proteste, dall'accusa di essere un «comunista di destra» e dall'invito «vai ad Arcore», aveva reagito ricordando che «non si risolve niente cacciando colui che ti è antipatico», neppure quando si tratta di Berlusconi. Ed aveva ammonito che il Pd, da lui ancora avvertito come «casa mia», deve «aprirsi» per diventare «la vera sfida»: esattamente l'opposto di quello che stava per rappresentare sul palco il suo segretario. Non si sa quanto potrà ancora resistere nel Pd, o non esserne espulso, il «rottamatore» Renzi dopo avere scritto proprio ieri sul Corriere della Sera che un governo di centrosinistra «non deve avere paura di intervenire sulle pensioni subito, senza incertezze, senza rinvii al 2036». E deve «privatizzare le maggiori aziende del Paese». Ma soprattutto Renzi si è tenuto alla larga da quell'imposta patrimoniale che i suoi compagni invece non vedono l'ora di imporre per sottrarsi alle fatiche delle famose riforme «strutturali» chiesteci con insistenza dall'Europa. Il centrosinistra che il giovane Renzi giustamente rifiuta è «progressista nel nome e conservatore nelle scelte». Ma è esattamente quello che piace a Bersani e alla piazza da lui arringata anche ieri.

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