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Caro lettore ti scrivo a mezzo stampa

Diego Della Valle, presidente e ad del Tod's Group

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Siamo diventati una Repubblica delle lettere (a mezzo stampa), fondata su carta, penna, calamaio, busta e francobollo o, più banalmente, visti i tempi, su un allegato via mail. Oggigiorno scrivono tutti: lo fanno i dissidenti della politica, i frondisti del Popolo della libertà, i 6 ribelli dell'Hotel Hassler di Roma, Antonione, Stracquadanio, Bertolini, Destro, Gava e Pittelli. Scrive Matteo Renzi, sindaco di Firenze, democratico ma non bersaniano per spiegare la sua idea di centrosinistra e scrivono gli imprenditori, noti e non. A rompere il ghiaccio, nel settore, è stato Diego della Valle, patron della Tod's, che ha preso una pagina intera sul Corriere del Sera per vergare il suo j'accuse alla casta politica: «Ora basta! (..) Lo spettacolo indecente che molti di voi stanno dando non è più tollerabile da gran parte degli italiani e questo riguarda tutti gli schieramenti politici. Il vostro agire attento solo agli interessi personali e di partito trascurando quelli del paese ci sta portando al disastro e sta danneggiando la reputazione dell'Italia». Annota e si mette nudo, invece, Enrico Frare, imprenditore 37enne di Conegliano Veneto, cuore del Nord est, che ha acquistato una pagina (tanto per cambiare) sul Corriere della Sera. «Ogni giorno in Italia un imprenditore rischia di rimanere in mutande», questo lo slogan accanto al corpo senza vesti di Frare, titolare di un marchio sportivo. «Per chi come me cerca di portare avanti il made in Italy la situazione non è più sostenibile. C'è chi mi chiede perché non delocalizzo: ma io voglio investire qui». E siccome non c'è due senza tre, una terza missiva è giunta al quotidiano di via Solferino. A scriverla Giuliano Melani, 50 anni, toscano di Pistoia, italiano stufo del piangersi addosso che sembra attanagliare il Belpaese: «Concittadini, amici, fratelli. Possiamo farcela. Compriamoci il debito». Sottoscriviamo - suggerisce Melani - i nostri titoli di Stato per fare a meno del Governo e dell'Europa. Già, l'Europa. Anche lassù, a Bruxelles e dintorni, amano scrivere, ma direttamente al nostro Governo. Lo ha fatto la Bce, acronimo della banca centrale europea, con una missiva del 5 agosto scorso, restata segreta per un po' (e poi pubblicata sul Corsera), dove si indicavano nero su bianco le misure che l'Italia avrebbe dovuto mettere nella manovra finanziaria per rafforzare i propri conti (secondo la Bce). Scrivere, comunque scrivere. E pensare che il 31 gennaio del 2007, quando su Repubblica apparve la lettera di Veronica Lario, all'epoca signora Berlusconi, la notizia fu enorme: «Egregio direttore, con difficoltà vinco la riservatezza che ha contraddistinto il mio modo di essere nel corso dei 27 anni trascorsi accanto ad un uomo pubblico, imprenditore prima e politico illustre poi, qual è mio marito. Ho ritenuto che il mio ruolo dovesse essere circoscritto prevalentemente alla dimensione privata, con lo scopo di portare serenità ed equilibrio nella mia famiglia. (…) Ora scrivo per esprimere la mia reazione alle affermazioni svolte da mio marito nel corso della cena di gala che ha seguito la consegna dei Telegatti, dove, rivolgendosi ad alcune delle signore presenti, si è lasciato andare a considerazioni per me inaccettabili (..)». Berlusconi le risponderà il giorno stesso, porgendole le sue pubbliche scuse ma da allora - sono passati poco meno di 5 anni - la passione per le lettere ai giornali pare diventata una moda nazionale da cui tutti sono attratti. Tante, troppe parole e una nostalgia infinita della sintesi, via telegramma, del nostro Giuseppe Garibaldi: «Obbedisco».

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