Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

"Il G20 aveva nobili intenzioni ma alla fine non c'è sostanza"

default_image

  • a
  • a
  • a

«Qualche segnale di coscienza e tanta acqua fresca». È la prima sensazione che Paolo Savona, economista e presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi, ha avuto quando ha letto il comunicato finale del G20, il summit delle economie più grandi del pianeta che si è concluso ieri a Cannes.  Cosa non la convince? «A un certo punto del comunicato, al paragrafo tre, si dice che i paesi si danno l'impegno di rinvigorire lo sviluppo, creare occupazione e stabilità finanziaria. E infine favorire il trasferimento dei frutti della globalizzazione a tutti i popoli». Non sembra una cosa da poco? «Infatti. Intenzioni nobilissime. Ma mi ricordano la Carta dei diritti dell'uomo. Esiste da tempo, è idealmente perfetta, ma molti uomini stanno ancora aspettando che alcuni diritti fondamentali siano loro garantiti». Tanto rumore per nulla? «A scorrere il testo del comunicato dei lavori del G20 non trovo nulla di importante. È chiaro che da vertici del genere non ci si aspetta mai soluzioni definitive ed è solo un luogo in cui si "leggono le labbra del vicino". Ovvero si cerca di capire che intenzioni hanno i partner. La sensazione è che se si chiede contemporaneamente di andare verso un sistema di cambi flessibili, di rilanciare la domanda interna e di riassorbire gli squilibri fiscali è chiaro che vengono ribadite le divergenze e non c'è nessun tentativo di trovare una strategia comune». Ognuno tiene la posizione e nessuno rinuncia alla propria politica? «Esatto. Quanto affermato ribadisce che gli Usa non rinunciano a spostarsi dalla politica inflattiva, e cioè stampare dollari in continuazione, per rilanciare la crescita. Che l'Unione Europea non abbandona la sua via dei deflazione generate dalle manovre di bilancio rigorose. E la Cina, che non ha fatto dichiarazioni significative, non cederà facilmente all'idea di cambi flessibili perché dovrebbe accettare saggi di sviluppo molto più bassi. Insomma non mi sembra ci sia coerenza tra la malattia dell'economia mondiale e la terapia individuata. Anche se mi rendo conto che il G20 non è mai stato un luogo di decisioni concrete». Ma ci sarà qualcosa di concreto almeno tra le righe? «Un risultato c'è. Si manda un segnale preciso alla speculazione internazionale dicendo: attenzione la politica che può frenare i vostri disegni c'è ed è pronta a contrastarvi. Mi riferisco in particolare ai tre paragrafi che parlano delle banche troppo grandi per fallire e del sistema bancario ombra. Sono un messaggio di altolà alla speculazione».   Sarà sufficiente a fermare gli attacchi contro l'euro e i debiti sovrani degli Stati europei? «Non credo che si riuscirà a stoppare chi specula. Probabilmente però un effetto di intimidazione arriverà. Chi lucra sulle debolezze attuali del sistema si prenderà una pausa di riflessione prima di avviare altre azioni». Si parla anche di Italia. Cosa pensa dei controlli del Fmi che arriveranno a casa nostra. Siamo commissariati? «Più che un commissariamento mi sembrano una garanzia. L'Italia è nel nel mirino della speculazione ed è oggetto di osservazione, al punto che qualcuno nel mondo già ci considera un protettorato. Il controllo chiesto agli ispettori del Fondo Monetario Internazionale è una garanzia che consente che l'applicazione delle misure di risanamento non si tramuti in deflazione».   Cosa prevede nel futuro per il nostro Paese? «I problemi che restano sul tappeto sono molto seri. Se andiamo nella direzione del commissariamento allora è il caso di ridiscutere le condizioni con le quali siamo in Europa. Non possiamo certo percorrere passivamente la strada deflazionistica imboccata dalla Grecia». Nell'ambito del vertice è uscita anche la necessità di ricapitalizzare le banche cosiddette sistemiche. C'è anche l'italiana Unicredit. Qual è la sua valutazione? «Si sta applicando un meccanismo di valutazione del rischio e la conseguenza e una maggiore capitalizzazione. Le banche sono vittime della tossicità finanziaria importata dagli Usa. Applicare le stesse ricette di rigore anche alle banche italiane, che hanno retto meglio il contagio che arrivava dagli Stati Uniti, non mi sembra coerente in questo momento. Sono assolutamente d'accordo con le critiche mosse dai banchieri italiani».

Dai blog