Beppe Pisanu, da Zac a Casini passando per il Cav
Sia pure per un attimo, ho finalmente rivisto sorridere in tv Giuseppe Pisanu, Beppe per gli amici. Ed anche per me, che ne ho seguito il lunghissimo corso parlamentare, cominciato alla Camera nell'ormai lontanissimo 1972, quasi quarant'anni fa. Se a restituirgli quel sorriso sono stati ieri, con la loro calorosa accoglienza alla convenzione del terzo polo, Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini e Francesco Rutelli, costoro meritano solo per questo una lode, al di là, o nonostante il merito e il contenuto dell'operazione politica che li accomuna nelle spallate a Silvio Berlusconi. Di cui solo Rutelli può vantare di essere stato sempre avversario, avendo gli altri goduto invece dei benefici, tutti politici per carità, dello status di alleati o di colleghi di partito del tanto odiato Cavaliere. L'alleanza con Berlusconi procurò a Casini nel 1994 il ritorno alla Camera, diventato alquanto problematico dopo che l'anno prima l'allora e ultimo segretario della Dc Mino Martinazzoli aveva esposto l'opportunità, diciamo così, c'egli saltasse un turno, non certo per ragioni anagrafiche. Allora Casini aveva solo 38 anni. No, il suo inconveniente, chiamiamolo così, era di aver fatto parte della squadra politica di Arnaldo Forlani, protagonista di una stagione demonizzata dalle Procure della Repubblica per la pratica del finanziamento illegale dei partiti, e dei reati di corruzione e concussione che spesso, non sempre, seguivano o precedevano. Analogo sacrificio, chiamiamo così anche questo, era stato anticipato dal buon Martinazzoli per Clemente Mastella, legato a un altro ex segretario del partito, Ciriaco De Mita. L'uno e l'altro, i sacrificandi, si difesero mettendo su il baracchino politico del Ccd, sul quale si allungarono la benedizione politica e altri aiuti del Cavaliere, rivelatisi efficaci per il loro ritorno a Montecitorio nel 1994 e per tutto quello che ne sarebbe seguito: dal governo, per Mastella, alla presidenza della Camera - più in là - per Casini. Che, del Cavaliere, sarebbe anche diventato ministro degli Esteri in questa legislatura, se avesse accettato di concorrere alle elezioni politiche del 2008 nel Pdl, confluendovi con il suo piccolo partito post-democristiano. O se Fini, che aveva appena deciso di farlo con la sua Alleanza Nazionale, rimangiandosi un precedente rifiuto, non avesse posto il veto contro la tentazione ad un certo punto avvertita dal Cavaliere di permettere a Casini di rimanere nell'alleanza di centrodestra da posizioni autonome, come Umberto Bossi con la sua Lega. Fini, che di Berlusconi era già stato ministro degli Esteri e vice presidente del Consiglio negli anni precedenti, potette poi ricavare da quella porta chiusa a Casini la terza carica dello Stato, che ancora oggi ricopre, anche dopo avere rotto con Berlusconi, fondato un nuovo partito e passato all'opposizione, diventando protagonista di quella ch'egli stesso ha finito recentemente per riconoscere «un'anomalia». Pisanu non ebbe bisogno nel 1994 di arrivare a Berlusconi dalla Dc attraverso Casini e Mastella. Egli approdò direttamente a Forza Italia su segnalazione, se non la vogliamo chiamare raccomandazione, del suo celebre conterraneo ed ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Al quale Berlusconi non sapeva dire no, affascinato com'era dal personaggio, di cui accettava pregi e difetti, sino a incassarne in silenzio neppure tanto sofferto critiche private e pubbliche, a cena, magari con i suoi familiari, o a mezzo stampa. Il Cavaliere, si sa, è simpaticamente anche questo. Berlusconi apprezzò subito di Pisanu la solerzia e la conoscenza delle regole parlamentari, facendone subito il vice capogruppo alla Camera: vice di Vittorio Dotti, un avvocato di Milano che contendeva al collega romano Cesare Previti le chiavi del cuore del Cavaliere, ma che cadde rapidamente in disgrazia per una movimentata relazione con Stefania Ariosto: la donna destinata a diventare testimone d'accusa nella macchina antiberlusconiana della Procura di Milano. E così Pisanu subentrò a Dotti alla guida del gruppo di Forza Italia a Montecitorio. Le quotazioni di Beppe agli occhi del Cavaliere crebbero, anche questa volta per caso, quando Pisanu, che vantava un passato di moroteo per avere fatto parte della squadra del segretario della Dc Benigno Zaccagnini dal 1975 al 1980, incorse nelle dure critiche, in verità eccessive, del reduce più illustre e autentico del moroteismo. Che era Corrado Guerzoni, già portavoce e consigliere politico dello statista democristiano barbaramente ucciso nel 1978 dalle brigate rosse. Per il quale - Guerzoni - il Cavaliere doveva considerarsi incompatibile con la storia della Dc, per quanto ne fosse stato a lungo e spesso elettore, anche negli anni del suo amico Bettino Craxi. E incompatibili diventavano agli occhi dell'ex portavoce di Moro, recentemente scomparso, tutti i democristiani finiti in Forza Italia, ma specie quelli che rivestivano posti di maggiore responsabilità o visibilità. E Pisanu certamente era diventato uno di questi, sino ad entrare nelle cronache, nei retroscena e nei pezzi più o meno di colore delle grandi firme. Gian Antonio Stella, per esempio, il 10 febbraio del 2000 sul Corriere della Sera lo includeva nel gruppo dei consiglieri di punta del Cavaliere, insieme con don Gianni Baget Bozzo ed Enrico La Loggia, allora capogruppo di Forza Italia al Senato, con tanto di soprannomi. «Er tonaca» era don Gianni, «Smilzo» il siciliano La Loggia e «Su Chizzos» il bravo Beppe per via delle sue foltissime sopracciglia, chiamate appunto chizzos in sardo: tanto marcate da ricordare a Stella quelle di Breznev, tradotte per anni dai vignettisti in gigantesche virgolette sul volto di quello che era stato uno dei successori di Stalin al Cremlino. Da capogruppo berlusconiano a Montecitorio, Pisanu ebbe anche modo di scontrarsi sui giornali con un Casini già insofferente della leadership di Berlusconi e alla ricerca di uno che potesse, secondo lui, contendere meglio Palazzo Chigi agli avversari. «Quelli che si agitano troppo per arrivare alla guida del centrodestra sono gatti randagi in cerca di trippa», mandò a dire Pisanu il 1° febbraio del 1999, in una intervista a Silvio Buzzanca, di Repubblica, a chi ieri è riuscito a farlo sorridere alla convention del terzo polo. E aggiunse, sempre a difesa del Cavaliere: «Quando gli elettori decideranno che non è più il leader ne prenderemo atto e ci regoleremo di conseguenza». Gli elettori non sono stati chiamati alle urne, ma Beppe le sue «conseguenze» le ha già tratte, e non da ieri, perché sono mesi che si agita scrivendo anche lettere con Walter Veltroni non certo di incoraggiamento per il premier. Al quale evidentemente si riferiva, sempre ieri ospite di Casini e amici, quando ha detto, volendo forse spiegare la sua mestizia: «Ho mal di testa e mal di cuore per la situazione del nostro Paese». Ma torniamo indietro. Dopo tanta, accorata difesa della leadership berlusconiana, il Cavaliere ritenne opportuno imbarcare Pisanu nel suo secondo governo nel 2001 come ministro senza portafoglio per la verifica del programma: un incarico che sembrò a molti più virtuale che reale. Ma il portafoglio ministeriale - e che portafoglio, quello dell'Interno - gli arrivò l'anno dopo, per caso, quando si trattò di sostituire un collega scivolato su un incidente. Quella volta non si trattò di Dotti, ma di Claudio Scajola, costretto a dimettersi dal Viminale per avere dato - ahimè - del «rompicoglioni» al povero Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dai terroristi rossi dopo avere inutilmente chiesto di essere protetto. Come ministro dell'Interno, per una felice combinazione di qualità e di circostanze, Pisanu fece bene. Ma spazientì il Cavaliere nella notte degli scrutini elettorali del 2006, quando Romano Prodi vinse alla Camera per un vero e proprio pugno di voti. Il ministro dell'Interno, in verità pressato anche da telefonate di segno opposto di Carlo Azeglio Ciampi dal Quirinale, resistette alle richieste di ritardare le notizie sui risultati per attendere l'esito di alcune verifiche di brogli avvertiti in Campania. Nella breve legislatura prodiana 2006-2008 spettava al centrodestra come opposizione la presidenza di garanzia del comitato parlamentare sui servizi segreti. Vi aspirava come ex ministro dell'Interno proprio Pisanu, ma Berlusconi gli preferì a sorpresa Scajola. E Pisanu divenne più triste del solito. Tornato a vincere nel 2008, il centrodestra fu subito chiamato a scegliere il presidente del Senato. Alla candidatura, per quanto non formalizzata, di Pisanu il Cavaliere preferì quella di Renato Schifani, destinando Beppe dopo qualche mese alla presidenza della commissione bicamerale antimafia: non sufficientemente importante forse per fargli passare il mal di testa e di cuore confessato ieri al compiaciuto uditorio del terzo polo.