Il perimetro del Colle sulle consultazioni
Il permanente rifiuto di Silvio Berlusconi di fare il passo indietro reclamato dalle opposizioni, ma condiviso a voce più o meno bassa anche da un po’ di esponenti della maggioranza, e la decisione di fronteggiare invece gli sviluppi della crisi economica e finanziaria con nuove misure hanno in qualche modo obbligato il presidente della Repubblica a restringere il perimetro politico delle consultazioni che ha avuto anche ieri. Egli per forza di cose, cioè per non sconfinare dalla Costituzione, ha dovuto verificare innanzitutto il grado di disponibilità, o indisponibilità, delle opposizioni verso il percorso parlamentare e politico delle urgenti misure in arrivo, in quelle ore, dal Consiglio dei Ministri. Che egli stesso l’altro ieri aveva sollecitato al presidente del Consiglio come «efficaci nell’ambito della lettera di impegni indirizzata dal governo alle autorità europee» il 26 ottobre. Il capo dello Stato ha pertanto dovuto dare precedenza a questo aspetto più urgente, visti anche i tempi del summit mondiale che si apre oggi a Cannes con la partecipazione dell’Italia, rispetto all’altro che premeva e preme di più alle opposizioni. E che riguarda quella che lo stesso presidente della Repubblica l’altra sera aveva definito in una impegnativa nota ufficiale «una nuova prospettiva di larga condivisione». A favore della quale egli aveva intravisto l’esistenza di «un ampio arco di forze sociali e politiche». Se per «nuova prospettiva» si deve intendere, come le opposizioni a torto o a ragione hanno inteso, un nuovo governo e una nuova maggioranza, comunque la si voglia chiamare, di emergenza o di responsabilità nazionale, di tregua o di decantazione, tecnico o presidenziale, bisognerà continuare ad aspettare o un ripensamento di Silvio Berlusconi sulla strada delle dimissioni spontanee o una sua caduta in Parlamento con un voto di sfiducia: quello, per intendersi, inutilmente tentato a Montecitorio il 14 dicembre dell’anno scorso dalle opposizioni, pur rafforzate dall’arrivo del nuovo gruppo parlamentare del presidente della Camera Gianfranco Fini. Costretto dai fatti e dai limiti costituzionali a lasciare aperto lo scrigno della «verifica», da lui stesso propostasi l’altro ieri, delle «condizioni per il concretizzarsi» della «nuova prospettiva di larga condivisione», se per essa si deve intendere - ripetiamo - anche un nuovo governo e una nuova maggioranza, il capo dello Stato si sarà trovato probabilmente a disagio nel sentirsi ieri ripetere dai rappresentanti delle minoranze saliti al Quirinale le solite richieste di dimissioni del presidente del Consiglio, e di conseguente apertura della crisi governativa. Che fuori dall’ufficio di Napolitano, e dalle sue stesse consultazioni, sono state enunciate alla stampa con particolare chiarezza dal presidente dell’Udc e vice presidente della Camera Rocco Buttiglione prospettando lo scenario di un presidente del Consiglio che vara le misure urgenti imposte dalla crisi economica, si dimette e va a Cannes ad annunciare ai suoi colleghi stranieri l’apertura, finalmente, della crisi di governo tanto auspicata dai suoi avversari. I quali sono da tempo notoriamente e curiosamente convinti, per ripetere le parole, fra gli altri, del vice segretario del Pd Enrico Letta, del capogruppo della Camera Dario Franceschini e dell’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema, nonché presidente del comitato parlamentare di sicurezza della Repubblica, che una crisi di governo, appunto, valga quanto due, tre, quattro manovre finanziarie. Una volta, ai tempi della cosiddetta Prima Repubblica, che sono poi quelli in cui si è formato politicamente e umanamente il capo dello Stato, una crisi di governo evocava più lo spettro della instabilità che la prospettiva di una salutare stabilità. Specie quando la crisi si apriva al buio, come si aprirebbe oggi perché, a dispetto dell’ampiezza delle richieste di dimissioni del Cavaliere e dell’abbondanza delle formule di un nuovo governo, le opposizioni continuano ad essere divise, fra di loro e al loro interno, sulle misure da adottare per fronteggiare la crisi economica e stare al passo con l’Europa più di quanto riesca a fare il malmesso Berlusconi, con i lacci e i lacciuoli di Umberto Bossi e Giulio Tremonti. D’altronde, neppure nella riunione di vertice del maggiore partito di opposizione, svoltasi prima che il segretario Pier Luigi Bersani si recasse per le consultazioni dal capo dello Stato, si è fatta ieri chiarezza sulle scelte concrete imposte dalla crisi economica. Si è preferito diffidare delle nuove misure del governo, e criticarle, prima ancora di conoscerle.