Sacconi evoca il rischio terrorismo e apre le porte a Ichino
Maurizio Sacconi continua la sua battaglia in difesa dei provvedimenti per il lavoro chiesti da Bruxelles e messi nero su bianco da Palazzo Chigi per far ripartire il Paese. E combatte. Intanto le parole, quelle che spesso generano mostri: «Licenziamenti facili è un termine assolutamente falso». Poi le possibili conseguenze, quelle che fanno paura. Il ministro del Welfare parla chiaro: le tensioni createsi attorno al nodo dei licenziamenti possono alimentare il rischio di un ritorno al terrorismo. Nel dibattito, dopo la lettera del governo all'Ue, si insinua così il "fantasma" degli anni di piombo e la memoria torna agli omicidi di Marco Biagi e Massimo D'Antona, i due giuslavoristi uccisi proprio per il loro impegno nel campo delle riforme del lavoro. «Ho paura - ammette in un'intervista a Sky - ma non per me, perché sono protetto. Ho paura per persone potrebbero non essere protette e proprio per questo diventare bersaglio della violenza politica che, nel nostro Paese non si è del tutto estinta». Il ministro del Lavoro non nasconde il timore che una ripresa del terrorismo possa colpire, come in passato, chi si occupa di temi legati al mondo del lavoro. «Oggi - spiega - vedo una sequenza dalla violenza verbale, alla violenza spontanea, alla violenza organizzata che mi auguro non arrivi ancora una volta anche all'omicidio. Come è accaduto, l'ultima volta dieci anni fa proprio con il povero Marco Biagi nel contesto di una discussione per molti aspetti simile a quella di oggi». Perché - insiste Sacconi - «già allora parlavamo non di licenziamenti facili, termine che è assolutamente falso ma, piuttosto, di come incoraggiare le imprese a intraprendere, ad assumere, ad ampliarsi, a crescere anche attraverso l'idea che se poi le cose non andassero bene, se poi le cose si rivelassero difficili, le imprese, come hanno fatto il passo in avanti dovrebbero fare magari anche un mezzo passo indietro». I timori del ministro aizzano le opposizioni. Decisa la replica di Susanna Camusso: «Sono dichiarazioni preoccupanti, mi auguro che Sacconi le faccia perché ha degli elementi e non per inquinare un clima già molto difficile - attacca la numero uno della Cgil - Credo che il Paese debba difendere tutte le opinioni e tutte le persone e se ci sono elementi è utile che si dotino le forze dell'ordine delle risorse per proteggere le persone. Pensiamo che questi argomenti vadano sempre trattati con grande cautela, altrimenti si rischia di invocare certe cose. Se ci sono elementi concreti si proceda, altrimenti si fa un uso politico di questi temi». «Siamo già nei guai, se accendiamo micce di divisione sociale invece che di coesione registriamo un danno drammatico per il Paese - le fa eco Pier Luigi Bersani - Invito il governo a spegnere la miccia che ha acceso e mettersi a ragionare seriamente», conclude il segretario dei democratici che ribadisce anche il suo «no» a «diversivi e alzate di ingegno che aggravano la situazione invece di risolverla». Ben più coloriti i toni scelti dall'Idv: «Il ministro, come è noto, fa tutto da solo. Ha innescato uno spaventoso scontro sociale, prima con l'articolo 8 della manovra finanziaria, poi con i licenziamenti motivati da ragioni economiche, riportando così l'Italia all'800. Una volta innescata la bomba, Sacconi grida: "Aiuto! Aiuto!" e dopo dà la colpa a quanti lo criticano» attacca il responsabile lavoro e welfare dei dipietristi, Maurizio Zipponi. Sacconi non demorde e prova a dialogare con l'opposizione. C'è l'apertura che viene dal senatore del Pd Pietro Ichino. Può essere la base da cui partire. Per il titolare del Welfare la proposta del giuslavorista democratico «è per molti aspetti interessante e noi abbiamo idee molto simili. Tutti i licenziamenti discriminatori devono restare nulli». Il governo sta lavorando «alle protezioni dei lavoratori» augurandosi che «anche le imprese, anche collettivamente, facciano la loro parte», spiega. Ichino è per il dialogo. Il senatore Pd risponde in modo duro alle parole di Sacconi, ma non ha paura di cercare i responsabili della tensione anche tra le fila dei sindacati, "signor no" per antonomasia. Non si può evocare il pericolo di violenza politica per «comprimere il dibattito», o peggio, per «accollare a chi dissente la responsabilità oggettiva di eventuali aggressioni commesse da altri», chiarisce subito. Il senatore democratico, però, non ha peli sulla lingua: «Penso anche - aggiunge - che a rasserenare il clima contribuirebbe anche una maggiore serietà del dibattito. Occorrerebbe, in particolare, che i sindacati, invece di stabilire dei tabù, e di continuare a ripetere "questo non si tocca", "di questo non si deve neppure discutere", entrassero nel merito della questione, indicando i punti di consenso e di dissenso, e soprattutto indicando le soluzioni alternative. Perché anche la tecnica del tabù serve per troncare il dibattito, impedirlo sul nascere. E qualche volta - conclude - ha l'effetto, anche se non voluto da chi la pratica, di demonizzare chi osa violare il tabù».