La città è muta ma non perde la speranza
Sembra impossibile. Anche nel frastuono delle sirene che squarciano il silenzio irreale di questo pomeriggio di Genova, anche se abbiamo davanti i lampeggianti, le idrovore e le ambulanze cariche di feriti sembra impossibile crederci. A qualche centinaio di metri da qui, mentre beviamo l'ennesimo caffè per sopportare tutto questo disperato fango, l'acqua è tornata a ribellarsi. Lo leggi negli occhi sgranati del barista che cerca di spazzar via le impronte secche degli stivali dei pompieri, che come spariscono dal pavimento sembrano trasmigrare in un angolo nascosto, in basso nel suo animo. E da lì sarà una faccenda lunga cancellarle. L'acqua è corsa giù dai monti che schiacciano Genova contro il suo mare scuro, quello che anche di notte non si ferma mai. Lo stesso mare, la stessa acqua in cui non più di due mesi fa sguazzavano i bambini sotto l'occhio attento delle mamme, che di solito preferiscono prendere il sole, una parola che detta oggi suona strana: «Che fai Andrea? Vieni a riva, lì non si tocca». Ma stavolta non l'apprensione delle madri, neanche l'affetto delle sgridate a squarciagola è bastato. Ieri l'acqua che cadeva sui tetti d'ardesia grigia non conosceva pietà. Ieri la natura aveva deciso di ricordarci che è lei la più forte. Innocui torrentelli dove di solito fanno il bidet i gabbiani, lei li ha trasformati in onde limacciose e inarrestabili. Gonfie di legna, di detriti e tanta terra. Uno di questi ruscelli si chiama Rio Ferreggiano. Se lo vedevi prima delle piogge ti saresti fatto una risata: quel rigagnolo lì? E che vuoi possa mai fare? Ebbene il rio si è trasformato in un mostro. Ha rincorso tre donne e due bambine. Loro sono riuscite a infilarsi nell'androne di un palazzo. In una sorta di assurda dimostrazione di forza il Ferreggiano è entrato anche lì dentro e le ha uccise. Prima di continuare a rotolare verso il mare, lui o il destino, ha voluto stanarle. Anche a Brignole, dove il Bisagno è stato imprigionato sottoterra dalla fame di palazzi e strade, lo tsunami è venuto dai monti. Quelle montagne che cingono Genova e che nei secoli tante volta l'hanno salvata dagli invasori. Ma questa volta le cose sono andate diversamente, i barbari erano gocce ghiacciate venuti dal cielo. L'acqua marrone ha travolto tutto e tutti senza distinguere. Ha portato via uomini, donne e bambini. Non sappiamo ancora con precisione quanti né conosciamo i loro volti. Vengono in mente travestiti da fantasmi, streghe e vampiri per Halloween, appena qualche giorno fa. Dolcetto o scherzetto? E via ridendo a scampanellare a un'altra porta. Non ci sarà più un'altra Halloween, nemmeno l'imbarazzo di credere a Babbo Natale o la paura per l'interrogazione di italiano. Non ci sarà più niente per quei bambini e quegli adulti che ieri si trovavano lì, a Genova. Eppure il sindaco Marta Vincenzi aveva chiuso le scuole per precauzione. Si sapeva che sarebbe piovuto tanto, ma nessuno sospettava che la natura volesse prendersi una rivincita così crudele. Le locandine fradice e sporche di bratta del Secolo XIX che si incontrano rovesciate in giro, ora suonano come un oscuro presagio: «Allarme alluvione, scuole chiuse e paura». Non era neanche tanto oscuro, è che noi giornalisti ogni tanto le spariamo grosse e allora nessuno ci crede più. L'ha detto il sindaco: «Ci hanno accusato di aver fatto terrorismo, purtroppo ne abbiamo fatto troppo poco». Via Venti Settembre, che è la strada buona, quella dello shopping per chi ancora qualche soldo ce l'ha, era un acquitrino putrido e infestato dalle carcasse degli scooter. Bisognava vederle le facce della gente di Genova, che come dice Paolo Conte sarà anche un po' selvatica, ma ieri quei visi erano soprattutto terrei. Gli occhi persi sull'acqua ovunque li giravi, l'acqua che riempiva i sottopassi, l'acqua che scendeva come una cascata dal monumento a Cristoforo Colombo in piazza Principe. Gli sguardi sembravano cercare un appiglio, un approdo sicuro e asciutto. Non contavano più lo spread con i bund tedeschi, la crisi che svuota Fincantieri, le condizioni di salute di Cassano che è rimasto nel cuore dei tifosi sampdoriani. La Cannes del G20, che è appena dopo la frontiera, sembrava più lontana della Papuasia. Anche noi lo abbiamo cercato un appiglio di speranza, senza trovarlo subito. Però c'era un uomo nei giardinetti della stazione di Brignole, in una mano teneva lo scheletro di un ombrello scarnificato dalle raffiche di vento e con l'altro braccio stringeva la figlia. Come per proteggerla dalla rabbia che la natura stava vomitando ieri a Genova, ma forse la cingeva dalla testa solo per non farle vedere. Cercava di risparmiarle uno spettacolo che lascia in fondo allo stomaco ferite indelebili. Sta tutto qui: non vogliamo che chi amiamo soffra. Si lo sappiamo che è impossibile, ma quel signore fradicio fuori e dentro, che anche così manteneva la dignità di un sovrano, almeno ci provava. Si era tolto l'impermeabile per coprire la bambina dai baffi d'acqua sollevati dalle jeep della Protezione civile, Veronica o Valeria ci pare l'avesse chiamata con un filo di voce. Non sappiamo il nome di quell'uomo, ma ci ha ridato speranza. Era soprattutto il silenzio della gente di Genova a colpire duro nel petto ieri pomeriggio. Qui la gente parla poco anche quando va tutto bene, ma davanti a quell'acqua erano svanite le ultime parole. Inghiottite dai pensieri, affondate forse nella disperazione. Tutti stipati davanti alle tv accese nei bar, ad ascoltare il sindaco Vincenzi costretta a fare il punto della situazione. Ma anche lei aveva lo stesso sguardo perso, anche lei era stata colpita in profondità e alternava alle frasi lunghi silenzi: «È come una guerra, mettetevi in salvo». Nessuno commentava, tranne un pensionato con i calzoni arrotolati al ginocchio che ha detto una parola, una parola che non è una parolaccia e che qui a Genova vuol dire tutto: belin. Si potrebbe continuare con il bollettino del disastro: l'autostrada allagata, l'aeroporto chiuso, i 454 mm d'acqua caduti sulla città, gli evacuati, lo stadio De Ferraris inagibile dove è stata rinviata la partita Genoa-Inter di domenica. Si potrebbero tirare fuori le solite polemiche che seguono a ogni alluvione, l'urbanizzazione selvaggia lungo gli argini dei torrenti, i boschi abbandonati a se stessi, i tombini intasati. Tutto vero, tutto giusto ma alla fine sono soltanto particolari. Che nulla valgono rispetto al silenzio che ieri pomeriggio regnava a Genova.