L'alibi del Cavaliere
In quale aspetto della nostra vita nazionale vaste frange del popolo di sinistra trovano di che giustificare la loro convinzione che il nostro paese, da quando è spuntata la figura di Silvio Berlusconi, soffra e gema sotto i colpi di un’infame tirannia, più detestabile della dittatura fascista, anzi più oppressiva e feroce dei più spietati regimi totalitari del secolo scorso? Hanno forse avuto notizia della soppressione ope legis di tutti i partiti esistenti fuorché quello fondato dal Cavaliere, e della conseguente sospensione del metodo elettorale? Hanno quindi potuto assistere alla creazione di un regime fondato sul dominio incontrastato di un partito unico (quello, appunto, berlusconiano) e sulla sua identificazione con lo stato? O si è saputo che alcuni dei più gagliardi esponenti di questo popolo oppresso abbiano pagato con la loro messa al bando i loro attacchi al regime e al suo capo? O sono stati addirittura testimoni dell’arresto in massa di tutti i veri o supposti avversari del regime, nonché della creazione di una vasta rete di campi di concentramento per deportarvi, opprimervi e gasarvi milioni di cittadini scomodi o sospetti? Sono stati infine costretti a prendere una tessera, indossare una divisa e lasciarsi intruppare in una delle tante organizzazioni che ogni regime totalitario che si rispetti non manca mai di offrire ai propri sudditi? Niente di tutto questo. Questo popolo di intrepidi avversari e denunciatori di un regime che non esiste, per sentirsi e mostrarsi convinti che esso al contrario non soltanto esiste, ma è addirittura infinitamente più iniquo e schifoso di tutti quelli che lo hanno preceduto, non hanno alcun bisogno di giustificare questa loro convinzione, l’indignazione e la rabbia che essa gli procura e l’insopprimibile bisogno di sfoggiare questi loro sentimenti, mediante la banale registrazione e ostensione dei diversi indizi dai quali si è soliti dedurre il carattere più o meno autoritario dei moderni regimi politici. Il lupo insomma non esiste. Ma a farlo esistere ci pensa lei, la passione di questo popolo di lottatori più o meno continui, che per sentirsi all’altezza del loro illusorio destino di fantomatici oppressi hanno un disperatissimo bisogno di credere in quel lupo che esiste soltanto nelle loro teste di martiri immaginari. Questi agnellini ossessionati dalla ferocia di un lupo che non c’è comunque non solo non sanno di essere gli ultimi (per il momento) interpreti ed esecutori della predicazione sinistresca italica. Non sanno nemmeno di appartenere all’eterna famiglia di coloro che il grande Eric Voegelin (convinto come era che tutte le rivoluzioni degli ultimi due secoli, dalle più gloriose e maestose alle più ridicole e straccione, altro in effetti non siano state che momenti dello sviluppo di quell’unico fenomeno epocale che egli, avendovi fiutato il profumino delle antiche eresie gnostiche, denominò "movimento gnostico di massa") derise magistralmente tracciandone un esilarante ritrattino in quel geniale saggetto che è "Il mito del mondo nuovo". Secondo la diagnosi di Voegelin le caratteristiche del tipo umano incarnato dagli eroi dei moderni movimenti gnostici di massa sono esattamente sei. Ricordiamole succintamente nella forma di un monologhetto leggermente più sboccato dell’eloquio voegeliniano: «1. Sono insoddisfatto. Mi sento male. Mi faccio quasi schifo. 2) La causa di questa mia scontentezza non è certo la mia supposta stronzaggine. È infatti evidente che sono – anche se il mondo finge di ignorarlo – un drago intellettuale, sentimentale e morale. La colpa dev’essere dunque appunto del mondo e della sua struttura intrinsecamente schifosa. 3) Comunque sono sicuro che da tutta questa merda ci si può salvare. Non però grazie a un redentore celeste, ma per opera e virtù di un redentorino terrestre, ossia del sottoscritto neo-gnostico di massa. 4) Basterà insomma cambiare l’ordine delle cose sociali nel corso di un processo storico che a furia di scosse e convulsioni determinerà l’emersione di un mondo buono dalla merda di quello cattivo. 5) La mia salvezza, la salvezza di tutti i disgraziati come me, la salvezza dell’intera umanità, dipendono dunque da noi stessi, dai nostri sforzi personali, dalla nostra azione rivoluzionaria. 6) Poiché la salvezza dell’io e del mondo mediante la costruzione di un ordine perfetto non può non essere un miracolo alla portata delle mie capacità, non posso sottrarmi al dovere di trovare la formula atta a generare questo mutamento portentoso, ossia la ricetta della famosa torta "Paradiso in Terra"». Da questo profilo moderno sembra potersi dedurre che il suo perenne ideale, in tutti i tempi e sotto tutti i cieli, è in fondo il sogno di chi, non sapendo fare niente, vorrebbe cambiare tutto. Questo sogno può sembrare sia il più sublime sia il più ridicolo dei sogni umani, mai però il suo lato ridicolo aveva finora assunto l’aspetto esilarante del delirio di persecuzione che infuria da anni nel popolo di sinistra. Non solo fra i suoi gregari ma anche fra le sue guide, giacché l’idea che l’Italia di oggi sia anche peggiore di quella fascista ha trovato i suoi massimi teorici nei più apprezzati maestrini del nostro pensiero goscista. Da Eco a Scalfari, a Bocca, ad Asor Rosa e a Barbara Spinelli. Quale tipo umano è infatti più comico dello scansafatiche incapace votato al fallimento che si consola, come il Gastone di Petrolini con l’alibi della guerra, pensando che a lui lo ha rovinato il Cav?