Giovani, Democratici. E già divisi
Una pagina intera sul «Foglio», il quotidiano di Giuliano Ferrara, per spiegare le sue «Dieci mosse per cambiare l'Italia». Un manifesto politico firmato Nicola Zingaretti, quarantenne presidente della Provincia di Roma, membro del Pd, ex Ds, che va ad affollare il campo dei giovani irrequieti del partito di Bersani. Una sortita che sa tanto di una mossa per «marcare il campo» proprio quando oggi inizia a Firenze la manifestazione del sindaco Matteo Renzi dal titolo significativo «Big Bang» e a poco meno di una settimana da quella che si è conclusa a Bologna dei due rottamatori «buoni» Pippo Civati e Debora Serracchiani. Insomma i giovani Democratici sembrano copiare dai «grandi» – che vorrebbero prima o poi scalzare – gli stessi difetti e gli stessi vizi: la divisione in più correnti. O almeno in più scuole di pensiero. Il sasso che ha fatto più rumore ieri è stato il manifesto di Nicola Zingaretti, una novità per chi ha già in tasca il biglietto per la candidatura a sindaco di Roma nel 2013. Il presidente della Provincia era a Bologna domenica scorsa ad ascoltare Civati e Serracchiani – e si è guadagnato una lunghissima standing ovation dalla sala – e ha già detto tutto il bene possibile della manifestazione di oggi di Firenze. Però il suo manifesto serve proprio a smarcarsi da un abbraccio troppo soffocante con i suoi giovani competitor. Per candidarsi a eventuali primarie? Nel Pd sono propensi ad escluderlo. «Il suo obiettivo è prepararsi per fare il sindaco – spiega un parlamentare romano dei Democratici che lo conosce bene – Ma a quell'appuntamento deve arrivare con una sua forza politica, con un suo profilo, non deve essere portato. Ecco perché comincia a farsi spazio». Di sicuro per il momento Zingaretti non vuole accendere polemiche e giura che «il problema della leadership all'interno del Partito Democratico per me non esiste». «Io sostengo Bersani – conclude – e lo sosterrò alle primarie». Ma il rischio, con tante voci, è che alla fine siano gli elettori di centrosinistra a non capire più dove sta andando il Pd. Certo il primo punto del suo manifesto per l'Italia del presidente della Provincia di Roma non brilla per concretezza, visto che propone addirittura l'elezione diretta del presidente dell'Unione europea. Un tema che in questo momento non è probabilmente al primo posto nella mente dei cittadini. Poi segue la lotta alle diseguaglianze «promuovendo un nuovo equilibrio nel mercato del lavoro e nel sistema previdenziale», al terzo posto «costruire una scuola e un'università più aperte», al quarto punto dare cittadinanza a tutti i nuovi italiani, al quinto «scommettere sulla creatività», al sesto «promuovere la trasparenza della macchina pubblica», al settimo «definire un nuovo piano nazionale per la sostenibilità urbanistica e il paesaggio», all'ottavo «aumentare la competitività territoriale», al nono «fare leva sullo sviluppo sostenibile con un piano nazionale di investimenti in project financing» e infine, come decimo punto «diffondere l'accesso universale alle nuove tecnologie come strumento per generare crescita». Ieri nessuno del Pd ha commentato l'uscita di Zingaretti. E già questo fa capire come nei vertici dei Democratici prevalga la linea di non dare troppo risalto al fermento che viene dai quarantenni non del tutto di fede ortodossa con il segretario. Ad ascoltare a Bologna Civati e la Serracchiani, ad esempio, c'era Dario Franceschini e non Bersani. Ma nei loro confronti il partito Democratico appare più «morbido» rispetto a Matteo Renzi. I primi sono considerati, secondo la definizione di un bersaniano doc «portatori sani di istanze di rinnovamento», il secondo viene visto come un vero e proprio guastatore. Anche perché Matteo Renzi, a differenza degli altri suoi giovani concorrenti, alle primarie per sfidare Bersani ci pensa eccome. In privato ammette candidamente di voler fare il leader del Pd e ieri, presentando la manifestazione «Big Bang» alla stazione Leopolda di Firenze, ha ribadito l'intenzione di competere con il segretario: «Uno o una di noi, cioè di ragazzi più giovani, dovrà candidarsi: non si potranno fare le primarie solo con Bersani, Vendola, Di Pietro e basta». «Per me – ha aggiunto – lo schema di Vasto non basta, bisognerà avere anche altre persone che correranno per le primarie. Da questa convention dovranno uscire le idee che si candideranno alla guida il Paese. Se io fossi segretario del Pd non avrei paura di chi ha idee, ma avrei paura di chi idee non ne ha e continua a vivere di rendita sulle idee degli altri». Il programma, insomma, è bellicoso assai anche perché Renzi maneggia come pochi altri nel centrosinistra il sistema della comunicazione. E in questo – lo accusano i suoi nemici nel Pd – assomiglia tanto a Berlusconi. Sta spesso in televisione e sa anche starci bene, ha dalla sua la simpatia della grande stampa ed è anche ben visto dal mondo imprenditoriale e finanziario. Non solo fiorentino. Per questo la manifestazione che inizierà stasera a Firenze susciterà l'interesse del mondo dei mass media molto più di quella che Bersani ha organizzato, negli stessi giorni a Napoli con i «suoi» giovani, tra i quali il portavoce Andrea Orlando. Una concomitanza che ha già provocato polemiche tra gli organizzatori, con i «renziani» che accusano il segretario di averlo fatto apposta. «Non è vero – è la risposta del Pd – è un appuntamento che abbiamo organizzato con mesi di anticipo quando nemmeno si sapeva che ci sarebbe stata la Leopolda II». Ma ad alimentare il fuoco delle divisioni ci pensa un consigliere regionale del Pd siciliano, Davide Faraone, che oggi sarà a Firenze e che punta ancora l'indice contro il segretario: «Avevo promesso a Matteo che non avremmo parlato di Pd, di Bersani e di nessuno - ha detto - ma sono particolarmente arrabbiato perché stanotte sono stato costretto a dormire in una stanza che aveva le dimensioni di una cabina telefonica per consentire a tanti ragazzi di viaggiare e di pagare poco, per fare in modo di trovare i soldi per far arrivare più persone possibile. Pensare che ragazzi della stessa generazione vanno a Napoli e lo fanno a spese del partito mi fa un po' girare le scatole». E nel teatrino dei giovani del Pd che si scannano come i «grandi» arriva anche la dichiarazione-appello di Debora Serracchiani a Matteo Renzi: «Tutto quello che unisce è positivo. Ciò di cui abbiamo bisogno ora è chiarire meglio il programma del Pd, allargare il raggio del centrosinistra e unire le forze per governare il dopo Berlusconi, perché con una coalizione sbrindellata non si va da nessuna parte, chi va in questa direzione dà una mano». Al contrario, ha aggiunto l'europarlamentare, «l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è aiutare il centrodestra a fare la conta dei rivoli in cui si disperde il Partito democratico».Rivoli che invece aumentano ogni giorno di più.