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La via d'uscita del Quirinale

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Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

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La svolta della giornata sta in una frasetta arrivata nella tarda mattinata. Al Quirinale Silvio Berlusconi arriva con Gianni Letta per riferire del vertice di Bruxelles e delle misure che il governo intende prendere per rassicurare i partner europei. Non cita le pensioni. Napolitano si informa e il premier fa capire che ancora non c'è un accordo con la Lega.Non è possibile ricostruire le esatte parole che usano i diretti interessati per le evidenti ragioni di riservatezza. Ma sostanzialmente il Capo delloStato ricorda al presidente del Consiglio che siamo ancora in una repubblica parlamentare. Un modo per dire: «Non hai i voti del governo, vai in Parlamento e trovali nella Aule». Forse Napolitano non voleva esattamente dire questo ma ciò è quel che viene inteso a palazzo Chigi. Un sostanziale via libera alla riforma delle pensioni. Che arriva nientemeno che dal Colle. E un avallo anche a procedere. Comunque. Visto che appena un paio d'ore prima Rocco Buttiglione aveva detto: «Se la riforma delle pensioni con l'innalzamento a 67 anni dell'età pensionabile sarà ben fatta, l'Udc è pronto a votarla». Non solo. Ma poco dopo Napolitano incontra anche il vicesegretario del Pd, Enrico Letta. Forse per sondare il terreno. Di sicuro il pressing del Quirinale arriva nel pieno di un vertice che riservatamente si sta tenendo nella stanza del presidente del Senato, Renato Schifani, cioè nell'ufficio di colui che viene indicato come il possibile premier del dopo Berlusconi. Ufficialmente nella riunione, a cui partecipano anche i capigruppo del Pdl, si parla informalmente del prossimo calendario di palazzo Madama. Si parla persino di processo breve. Come ovvio che sia il discorso cade sugli avvenimenti che stanno accandendo in quelle ore, il Pdl sostanzialmente decide che sulle pensioni si va avanti. E che la Lega deve cedere. Più tardi, Maurizio Gasparri, non a caso sottolinea: «Vorrei ricordare che la Lega ha varato nel precedente governo Berlusconi una riforma delle pensioni con Maroni che contribuì a una riforma importante che poi il governo Prodi ha destrutturato».   Così, Berlusconi si può presentare al cospetto di Bossi con un messaggio chiaro: «Umberto, guarda che non possiamo non intervenire sulle pensioni. L'Ue, il Pdl, il presidente del Senato e soprattutto quello della Repubblica la chiedono. Se non l'accetti la faranno in Parlamento». Perché è ormai chiaro che non solo l'Udc ma anche il Pd, con una sorta di non belliggeranza, farebbero passare la riforma facendo così capitolare il governo. Rischierebbe per primo Umberto Bossi in persona perché la caduta dell'esecutivo lo porterebbe anche all'uscita di scena personale e politica: nella Lega non glielo perdonerebbero. C'è un altro tema, non meno delicato, che ha toccato Berlusconi. E anche Napolitano. Il premier non ha digerito quei sorrisini della Merkel e Sarkozy nella conferenza stampa di domenica. Non ha digerito quella sostanziale irrisione che rischia di mettere a repentaglio i rapporti tra leader e soprattutto tra Paesi al di là dei loro rappresentanti. Con l'assenso del Quirinale e la manina di Giulio Tremonti (con cui è tornato a lavorare fianco a fianco), Berlusconi dirama una nota durissima in cui sostanzialmente ribadisce che non accetta lezioni da nessuno: «L'Italia ha già fatto e si appresta a completare quel che è nell'interesse nazionale ed europeo, e che corrisponde al suo senso di giustizia e di equità sociale. Onoriamo il nostro debito pubblico puntualmente, abbiamo un avanzo primario più virtuoso di quello dei nostri partner, faremo il pareggio di bilancio nel 2013 e nessuno ha alcunché da temere dalla terza economia europea, e da questo straordinario paese fondatore che tiene cara la cooperazione sovranazionale almeno quanto la sua orgogliosa indipendenza». Ricorda come abbia chiesto più volte gli eurobond, ma Berlino s'è opposta: «Stiamo facendo qualche timido passo avanti - insiste Berlusconi - per un governo dell'area euro, ma resta ancora molto da fare. La Germania di Angela Merkel è consapevole di questo, e il suo lavoro si avvarrà della nostra leale collaborazione. Nessuno nell'Unione può autonominarsi commissario e parlare a nome di governi eletti e di popoli europei. Nessuno è in grado di dare lezioni ai partner. D'altra parte l'insieme della classe dirigente italiana, se vuol essere considerata tale, invece che un coro di demagoghi, dovrebbe unirsi nello sforzo dello sviluppo e delle necessarie riforme strutturali sulle quali il governo ha preso e sta per prendere nuove decisioni di grande importanza». Infine un appello alla responsabilità per tutti: «L'Italia del lavoro e dell'impresa - spiega Berlusconi - sa come stanno le cose, vuole un deciso impulso alla libertà e alla concorrenza, e non partecipa a giochi di potere, interni ed europei. Sarebbe un bene se l'Italia dei partiti e delle fazioni si scrollasse di dosso le vecchie abitudini negative, e per una volta si mettesse a ragionare in sintonia con il paese reale abbandonando il pessimismo e il catastrofismo. Da qui possono partire il risanamento e la ripresa». Un nuovo invito a tutte le forze. Basterà? Finora tutte le iniziative sono cadute miseramente nel vuoto.

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