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Quella voglia maledetta di dominare il mondo

MotoGP, il pilota Marco Simoncelli

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Un fenomeno! Non c'è una parola che sintetizzi meglio Marco Simoncelli. Giovane, veloce, cattivo in pista, matto come un cavallo fuori con quella capigliatura da «suonato» che lo rendeva così personaggio: erede ideale del talento infinito di Valentino Rossi nell'immaginario collettivo di appassionati e addetti ai lavori. Uno di quelli che quando li vedi in sella a una moto capisci perché non hai fatto il pilota nella vita. Lui lo ha fatto, per una vita, seppur breve, contro tutti e tutto. Contro un fisico che lo aveva dotato di un'altezza smisurata per un pilota da corsa. Altro che fantino»: troppo lungo, con quelle leve esagerate che hanno costretto nel corso della sua fulminante carriera molti tecnici a spostare le pedane per farlo entrare in sella. Ma una volta trovata la posizione giusta Marco volava, sgomitava, se le dava di santa ragione con chiunque: e non meno con se stesso, sbattendo più volte la testa al muro per quelle scivolate che lo hanno rallentato nella massima categoria. Ma quando ha smesso di cadere, la sua classe ha iniziato a fare la differenza: anche quest'anno quando è riuscito a duellare alla pari con le Honda ufficiali di una spanna sopra a tutto il resto. Uno che non molla mai, che cerca di restare incollato alla moto anche quando la dovrebbe mollare: è la differenza tra loro, i fenomeni, e il resto del mondo. Anche ieri a Sepang se Marco avesse lasciato andare la sua Honda invece di provare a rimetterla in piedi contro ogni legge della dinamica e della fisica, probabilmente sarebbe finita diversamente: una scivolata, delle più banali di quelle che costano solo qualche punto in campionato. E invece no, la sua voglia di esagerare, ha mandato la moto su una traiettoria anomala che si incrociata fatalmente con quella del collega Edwards, ma soprattutto con quella dell'amico di sempre Valentino Rossi. Due ragazzi fatti della stessa pasta, divisi da qualche anno, ma così vicini in fatto di talento e carisma: insomma, due fenomeni. Già, perché Simoncelli era bello anche dentro: o meglio «fuori» dalle gare. Un ragazzo normale per niente condizionato dal successo e dai soldi che l'essere arrivato gli avevano messo in tasca e in testa. Patito del «tresette» amava giocare con amici, colleghi, meccanici e giornalisti a margine dei gran premi: il grande circus delle corse, la sua casa viaggiante in giro per il mondo. Li Marco dava il meglio di se, mostrava tutta la sua straordinaria umanità a costo zero: senza avere nulla in cambio, lontano dalle telecamere e dalla notorietà. E forse proprio per la sua grande personalità il Sic (nomignolo mutuato dall'acronimo dei tabulati di pista) era uno molto spendibile anche dal punto di vista mediatico. Un fenomeno anche lì, perché in questo nuovo mondo multimediale non basta vincere, bisogna anche saper dimostrare di essere di un'altra categoria, avere sempre la battuta pronta, ed essere all'altezza di ogni situazione. Il suo look ha fatto molto in questo senso, perché una volta tolto il casco il suo testone pieno di capelli quasi esplodeva: come avesse un casco naturale in testa. Un casco proprio come quello che ieri è rotolato via sull'asfalto di Sepang portando via con se il talento innato di un ragazzo che per gli amici era e resta semplicemente... il Sic!

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