Su un vecchio materasso insanguinato, con addosso una coperta nera, arabeggiante, nel freddo di una cella frigorifera e sotto i flash di centinaia di persone che fanno ore di fila pur di avere una foto ricordo.
Sulcadavere del Raìs non verrà effettuata alcuna autopsia, assicura il Consiglio militare dei ribelli, malgrado le incertezze, i dubbi e le polemiche che avvolgono le circostanze in cui l'ex leader libico ha trovato la morte. «Non ci sarà alcuna autopsia, né oggi né in un qualsiasi altro giorno - taglia corto Fathi al-Bashaagha, portavoce dell'organismo paramilitare - Per quanto ci riguarda i medici lo hanno già controllato a Misurata e hanno determinato come è morto, non c'è bisogno di tagliare nuovamente il suo corpo». «L'autopsia è già stata effettuata - rivela invece un funzionario locale alla Bbc - il corpo del Colonnello verrà presto restituito ai familiari». Intanto adesso è lo stesso Cnt a non credere più alle versioni di chi per primo ha raccontato a tutto il mondo l'esecuzione di Gheddafi. È Waheed Burshan a sollevare nuovi interrogativi sulla versione ufficiale in base alla quale il leader deposto è stato ucciso in uno scontro a fuoco. «Abbiamo saputo che prima era vivo e poi è morto - spiega Burshan - C'è stata una lotta quando lo hanno trasportato a Misurata? Non lo sappiamo. Ma c'è stato un divario temporale e sono certo che sarà avviata un'inchiesta», aggiunge. In rete, in realtà, circolano nuove raccapriccianti immagini sugli ultimi istanti di vita di Gheddafi. In un video che dura appena 17 secondi, il colonnello, ritratto di spalle e non visibile in volto, viene sodomizzato con un bastone appuntito da uno dei miliziani che lo hanno catturato. A Misurata intanto, tra gli insorti, circola come una sorta di parola d'ordine la frase «nessuno qui ha ucciso Gheddafi», nell'apparente tentativo di stornare le insinuazioni sul linciaggio. C'è poi da risolvere il problema di una sepoltura «scomoda». Forse il Raìs riposerà in mare. Come Osama Bin Laden. Per non creare in terra un mausoleo che diventi luogo di pellegrinaggio per i fedeli del regime. Già perché non tutti i libici festeggiano la fine del Raìs. Le tribù lealiste hanno una battaglia da combattere e hanno già scelto il loro nuovo leader. Saif al Islam, secondogenito di Gheddafi, è stato nominato dalla tribù del padre suo successore alla testa della nuova «guerra di liberazione», mentre i giovani di Warfela e Magareha lo invitano a combattere per «la liberazione della Libia» contro «i rivoluzionari della Nato». Allo stato attuale, però, non si hanno notizie certe di dove si trovi il delfino del Raìs. Secondo il comandante militare del Cnt Abdul Majid Mlegta, Saif potrebbe essere riuscito a fuggire in Niger venerdì, attraversando il deserto a bordo di uno dei tre veicoli blindati individuati dagli aerei Nato. La moglie e la figlia di Muammar, Saifa e Aisha, sarebbero, invece, dirette in un Paese del Golfo. Avvolta nel mistero anche la fine fatta dal tesoro del Colonnello. Secondo alcune ricostruzioni fatte dai rivoltosi che lo hanno scovato giovedì a Sirte, Gheddafi continuava a ripetere che era pronto a dare loro «tanti soldi e oro» se gli avessero risparmiato la vita. Un tesoro quindi c'è. Secondo il Los Angeles Times, Muammar era riuscito a nascondere all'estero più di 200 miliardi di dollari, il doppio della cifra di cui hanno sempre sospettato i governi occidentali. Secondo il giornale Usa, l'amministrazione americana trovò 37 miliardi di dollari in conti bancari libici e investimenti negli Stati Uniti e fece congelare subito i fondi prima che Gheddafi potesse spostarli. I governi di Italia, Francia e Germania presero poi il controllo di altri 30 miliardi. Altre indagini rivelarono che il Raìs aveva nascosto altri 30 miliardi in qualche altro Paese del mondo per un totale di quasi 100 miliardi di dollari. In seguito però gli investigatori stabilirono che il colonnello mandò altre decine di miliardi all'estero, realizzando lucrosi investimenti in quasi ogni Paese, incluso il Medio Oriente e il sud-est asiatico.