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Todo cambia. Il Molise dice no

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Molise, a sinistra hanno un problema: la piccola regione incastonata tra l'Abruzzo ferito dal terremoto, la Puglia vendoliana, il Lazio della politica nazionale e la Campania sospesa tra De Magistris e Caldoro, non c'entra nulla - almeno per adesso - con il todo cambia antiberlusconiano. La vittoria alle elezioni regionali, seppur di misura, del governatore uscente Michele Iorio, sostenuto dalle forze politiche di centrodestra - compresa l'Udc - mette il Partito democratico e lo schieramento anti-Cav davanti a un doppio interrogativo politico il cui filo di racconto (e di preoccupazione, aggiungiamo noi) sta tutto nelle parole pronunciate, ieri, da Massimo D'Alema, primo e unico premier ex Pci nella storia italiana: «Il centrodestra va indietro e il centrosinistra va avanti, purtroppo non abbastanza. Ma per il Molise è una novità visto che in dieci anni non era mai accaduto che il centrosinistra superasse il centrodestra senza l'Udc». D'Alema è da troppo tempo in politica per non rendersi conto che a fronte di un dimezzamento dei voti del Popolo della libertà, rispetto alle politiche del 2008, l'algebra degli schieramenti meno uno lascia il tempo che trova e quel che conta è il fatto che il centrosinistra non abbia ottenuto una vittoria, nonostante tutto. Un segnale, questo, di debolezza, il sintomo di una fragilità aggravata da un altro interrogativo: ma perché l'Udc, il partito di Casini che a livello nazionale sta all'opposizione del Governo Berlusconi, non si è alleata in Molise con il centrosinistra ma ha scelto di stare dentro lo schieramento di centrodestra? Sono questi - nonostante il contesto regionale della vittoria di Michele Iorio - gli elementi che rappresentano la debolezza progettuale e la difficoltà di attrarre consensi del centrosinistra italiano. Nel momento in cui Silvio Berlusconi, al Governo, fa i conti con gli effetti della crisi internazionale e con le cronache del caso Tarantini, il centrosinistra - in una piccola regione italiana, la terra, non dimentichiamocelo, dell'onorevole e leader dell'Italia dei valori Antonio Di Pietro - non riesce a sfondare. A caldo, molti nel centrosinistra sembrano voler imputare la colpa della propria sconfitta al movimento di Beppe Grillo che, in Molise, ha ottenuto il 5,6% dei consensi. Una spiegazione, subito bocciata dallo stesso Di Pietro che ha sottolineato come sia "fuori luogo prendersela con i grillini e, soprattutto con i molisani che hanno votato per il Movimento 5 Stelle". Il fatto è che ad avvantaggiarsi degli effetti dell'antipolitica e della rabbia verso la casta non è il centrosinistra e neppure il Partito democratico. Così, mentre il blocco sociale berlusconiano, a livello nazionale, si sta indebolendo per le mancate riforme del Governo e per la crisi internazionale, quello del centrosinistra riformista non sembra guadagnarne né in termini di voti, né di consensi. La percentuale raccolta dal Pd alle elezioni molisane è stata del 9,33%, più o meno la metà dei voti del Pdl che si è fermato sotto il 18%. Metteteci dentro tutte le peculiarità e le divisioni che si porta con sé ogni elezione regionale in un paese campanilista come il nostro ma resta un fatto che, sommandoli, i due principali partiti italiani, in Molise, non arrivano insieme al 28%, con un'affluenza alle urne inferiore al 60%. Per questo, recuperando le parole del leader dei democratici Pier Luigi Bersani citate ieri dal Corriere della Sera, "Se vincesse Frattura (ndr, candidato centrosinistra in Molise) sarebbe un risultato storico: liberato il Molise, libereremo l'Italia", possiamo dire che il todo cambia sognato dal Pd e dai suoi alleati non passa da Campobasso. E neppure dai dintorni.  

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