Il caporale Shalit è libero: "Spero serva per la pace"
«Mi è mancata la mia famiglia». Sono le prime parole che pronuncia Gilad Shalit appena tornato uomo libero. Il soldato israeliano ieri ha fatto ritorno in patria dopo cinque anni, grazie a uno scambio di prigionieri tra Hamas e Israele. «Spero che questo accordo promuova la pace tra Israele e i palestinesi», ha aggiunto Shalit, 25 anni, che prima è stato portato in Egitto, nel Sinai, dalla Striscia di Gaza, e poi ha attraversato il valico di frontiera di «Vigna di Pace» a Rafah, entrando in Israele con un elicottero che lo attendeva per portarlo in una base militare a incontrare i familiari e dove lo attendeva il premier Netanyahu. Mentre veniva rilasciato Shalit, Israele ha dovuto liberare 477 prigionieri palestinesi, la maggior parte dei quali sono arrivati nella Striscia di Gaza, dove erano attesi dai leader di Hamas e da bus con le insegne della Croce Rossa. I palestinesi in attesa dei detenuti liberati a un checkpoint in Cisgiordania hanno lanciato sassi contro i soldati israeliani, che hanno risposto coi lacrimogeni, dopo che i militari avevano annunciato alla folla che il gruppo era stato portato a un altro valico. Nell'intervista televisiva Shalit ha spiegato di aver saputo una settimana fa che sarebbe stato liberato, e di aver temuto di rimanere prigioniero «molti più anni». Smagrito, ma «in buone condizioni», secondo le sue stesse parole e gli esiti della prima visita medica, il giovane carrista catturato neppure ventenne nel giugno del 2006 è ricomparso come dall'oltretomba di fronte alla tv egiziana prima del rimpatrio e dell'abbraccio tanto atteso con papà Noam e mamma Aviva. «Sono stato trattato bene», si è affrettato a dire. E ha manifestato subito un lucido e sobrio auspicio di «pacificazione» fra israeliani e palestinesi: dicendosi solidale verso il destino dei reclusi scarcerati in cambio della sua libertà, ma a patto che essi ora tornino «a casa», come lui, e «rinuncino alla lotta armata». Parole in parte «estorte». Shalit infatti è stato costretto a rilasciare l'intervista alla giornalista della tv egiziana Shahira Amin: accanto a lui due miliziani delle Brigate Ezzedin al Qassam, i suoi rapitori, il viso coperto dal passamontagna e mitra imbracciato. Secondo ufficiali di sicurezza israeliani, l'intervista è stata una violazione dell'accordo sul rilascio del militare. Gilad è stato preso in consegna da uomini dello Shin Bet, il servizio segreto israeliano e, con un elicottero tarsferito alla base aerea di Tel Nof. Qui è stato visitato da due medici e gli è stata fatta indossare la divisa; infatti, i suoi carcerieri lo hanno riconsegnato con abiti civili. Sulla pista dell'aeroporto la stretta di mano con il premier israeliano, quindi il commovente abbraccio con il padre Noam. «Oggi possiamo dire di aver visto la rinascita di un figlio», ha detto il padre. Shalit è apparso confuso, esausto e a disagio. L'ex ostaggio ha detto di essere stato sempre da solo e di non aver visto e parlato con qualcuno per molto tempo, gli era, però, consentito di ascoltare una radio transistor, capace anche di ricevere programmi israeliani. Shalit ha anche rivelato di essere a conoscenza degli sviluppi politici in Israele e della rivoluzione avvenuta in Egitto. La famiglia e Gilad, ha detto il padre Noam Shalit «ringraziano per la solidarietà e il sostegno avuto dalla popolazione israeliana e il primo ministro e il governo per aver preso la difficile decisione» di liberare 1.027 detenuti palestinesi in cambio del militare. Il caporale, ha riferito il padre, ha detto di essere stato trattato duramente dai rapitori nel periodo iniziale, in seguito però, col passare degli anni, il loro atteggiamento si è ammorbidito. Gilad, ha detto Noam «è lieto di essere a casa ... per ora gli è difficile esporsi alla folla dopo tanti anni in isolamento. Mio figlio dovrà adesso osservare un periodo di recupero, che ci auguriamo sia breve, prima che possa tornare a una vita normale». Poi, in elicottero ha raggiunto il villaggio della Galilea dove vive al famiglia.