La sinistra "alleata" di Silvio
I migliori alleati di Silvio Berlusconi rimangono paradossalmente i suoi avversari. Che lo aiutano ad uscire dall’angolo ogni volta che vi viene stretto dalle difficoltà, o vi si infila da solo per errori di comportamento personale o di valutazione politica: cosa purtroppo che gli è capitata spesso nell'ultimo anno. E che si è ripetuta martedì scorso, quando il presidente del Consiglio non ha avvertito l’opportunità di salire al Quirinale dopo l’incidente verificatosi alla Camera, per assenze da sciatteria nella maggioranza, con la bocciatura del primo articolo del bilancio consuntivo dello Stato. Il Cavaliere avrebbe dovuto salire sul Colle non certo per dimettersi, come gli intimavano le opposizioni appellandosi ipocritamente alla Costituzione ma in realtà mettendosela sotto i piedi, bensì per ricevere dal presidente della Repubblica, che non glielo avrebbe sicuramente negato, l’invito a verificare nei modi dovuti il rapporto fiduciario con la Camera. Come era avvenuto - a proposito di precedenti, di cui tanto si parla, spesso a sproposito - con l’ultimo governo di Romano Prodi dopo un infortunio, peraltro non casuale, occorsogli al Senato su una mozione di politica estera. Che non è certamente materia meno rilevante di un adempimento contabile come un bilancio consuntivo. D’altronde, per quanto deluso probabilmente, e giustamente, dalla mancata visita di Berlusconi al Quirinale dopo l'infortunio sul rendiconto generale dello Stato, il presidente della Repubblica ha avallato in modo "ineccepibile", opportunamente sottolineato ieri dal Cavaliere nell’aula di Montecitorio, l’iniziativa del dibattito e del voto di fiducia di oggi. Alla quale invece le opposizioni, con la lodevole eccezione dei radicali, hanno reagito con una diserzione offensiva nei riguardi non solo del governo, ma anche del capo dello Stato: un’autorete che ha appunto tirato fuori Berlusconi dall'angolo, come scrivevo all’inizio, e che ha reso i suoi avversari decisamente più utili di certi alleati, in particolare i leghisti. I quali, con l’aiuto persino del ministro dell'Economia Giulio Tremonti, non gli hanno permesso nella manovra finanziaria di metà agosto, e continuano a non permettergli in vista del nuovo decreto legge per lo sviluppo, di adottare per intero le misure di risanamento chieste dalla Banca Centrale Europea con tanto di lettera. Che, se fosse però dipeso dalle opposizioni e dal governo più o meno tecnico e di decantazione da esse invocato, e neppure unitariamente, sarebbe stata "respinta al mittente", come si è preso la soddisfazione di rinfacciare ieri Berlusconi ai suoi avversari "spariti" dall'aula. Pensate un po’ in quali e quante difficoltà le opposizioni metterebbero il presidente del Consiglio, specie nei rapporti con i malpancisti del suo partito, insofferenti dell’asse Lega-Tremonti, se fossero in grado di accompagnare il loro progetto di un governo di tregua, o di qualsiasi altra denominazione, con l'indicazione di un programma preciso, fatto di contenuti veri, e non solo di titoli. A indicare i quali si fa presto: dalla riforma elettorale allo sviluppo e persino alla tanto controversa patrimoniale. È quando si passa dai titoli alle misure concrete che l’opposizione cade come l’asino. E le sue componenti si rivelano per quelle che sono: inconsistenti e incompatibili fra di loro. Capaci insieme solo di gridare e di insultare quando sono nelle aule parlamentari, o di uscirne per un disprezzo verso il governo che semplicemente le disonora sul piano istituzionale. O, peggio ancora, di fomentare le piazze per quello che è già stato annunciato da Nichi Vendola come "un autunno rovente", aspettando persino "il morto" per cavalcarne l’orrore.