Il contrattacco del leone

È stato un intervento breve, incisivo e attento ai contenuti quello col quale ieri mattina Berlusconi ha chiesto alla Camera di rinnovargli la fiducia. Un intervento che, con pacatezza e forza argomentativa, ha richiamato l’attenzione sulle regole della democrazia rappresentativa e al tempo stesso ha ribadito le priorità programmatiche del governo dando l’impressione di considerare irrealistica l'ipotesi di una sfiducia. Un intervento, insomma, di tono istituzionale, che ha avuto l’aspetto, più che di una difesa, di un vero e proprio contrattacco. Richiamandosi alla "vigilanza impeccabile" del Presidente della Repubblica, Berlusconi si è sintonizzato sulla lunghezza d’onda degli umori della maggioranza degli italiani che, come testimoniano molti sondaggi, hanno messo Giorgio Napolitano in cima alle loro preferenze, quanto a fiducia e affidabilità. Con questo richiamo, infatti, il premier ha lasciato intendere - quale che sia la realtà delle cose e mettendo da parte i non pochi pregressi motivi di contrasto col Capo dello Stato - di aver trovato, almeno in questa contingenza, una sponda nel Quirinale poco disposto ad avallare forzature e cavilli procedurali in base ai quali l’opposizione, spalleggiata e capeggiata dal Presidente della Camera, aveva cercato di far saltare il banco e mandare a casa il premier. Peraltro, il plauso alla "parlamentarizzazione" voluta dal Capo dello Stato dell’incidente nel quale è incappata martedì scorso la maggioranza è stato, per così dire, bilanciato con l’elogio del bipolarismo, presentato come un "tesoro" da custodire, e con la sottolineatura che non sarebbero comunque possibili, in quanto privi di legittimazione popolare, governi diversi all'attuale. In altre parole, Berlusconi ha riaffermato, pur senza farlo in maniera esplicita, la convinzione che una "costituzione sostanziale" diversa dalla "costituzione formale" abbia ormai preso piede nel paese: l'indicazione del candidato premier sulla scheda elettorale, combinata con una legge elettorale che assicura un premio di maggioranza alla coalizione vincente, avrebbe di fatto tolto alla casta dei partiti e ai giochi parlamentari il potere di designazione del Presidente del Consiglio. In termini politici - e l’allusione è evidentemente rivolta ai partiti, ai parlamentari ma anche, sommessamente, al Capo dello Stato - questo richiamo significa chiusura netta a ogni ipotesi (considerata irrealistica e contraria allo spirito della "costituzione sostanziale") di governo, di solidarietà nazionale o tecnico o di altra natura, diverso dall’attuale. Solo nuove elezioni - ed elezioni gestite dal governo in carica - potrebbero essere, più che una ipotesi alternativa, la logica conclusione di una crisi parlamentare. Berlusconi, insomma, è stato determinato nel ribadire la piena legittimità e la totale legittimazione del suo governo e nel condannare lo "sfascismo" demagogico e irresponsabile di opposizioni inconcludenti, divise, frastagliate e persino incuranti dei lavori parlamentari. In effetti, con la scelta di praticare un "mezzo Aventino" - ovvero con la decisione di lasciare l’aula per non ascoltare le parole del premier o partecipare a un dibattito e di essere presenti al momento del voto (naturalmente contrario) - le opposizioni (con l’eccezione della piccola ma agguerrita pattuglia dei radicali) hanno imboccato la strada del ridicolo assoluto, oltre ad aver inferto un vero e proprio vulnus, con tale comportamento, alla sacralità del Parlamento e alle regole, prima ancora che alla prassi, della democrazia liberale. E hanno confermato un’antica vocazione al rifiuto del dialogo e, più in generale, del confronto. Il comportamento, irresponsabile e autolesionistico, delle opposizioni ha consentito al Presidente del Consiglio di guadagnare qualche punto di credibilità e di formulare un invito allo "sforzo comune della società nazionale" per superare la crisi. Berlusconi ha contrattaccato all’offensiva mossa contro di lui parlando di "maggioranza coesa contro la strategia del pessimismo" e ha ribadito l'intenzione di dedicare l’ultimo scorcio della legislatura alle riforme necessarie per il risanamento del paese, dalla modifica dell’architettura dello Stato, all'introduzione di un fisco dal volto umano, al riequilibrio del sistema giudiziario. Che ci riesca o non ci riesca è altro problema. Quel che conta è, per ora, che il leone sia tornato a ruggire.