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Impossibile ingabbiare il vecchio leone Pannella

Marco Pannella

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Grande, grandissimo Pannella. Che nella battaglia appena conclusasi alla Camera ha felicemente conteso al presidente del Consiglio il ruolo di mattatore, peraltro senza fare neppure parte dell'assemblea. Egli ha indirizzato dall'esterno, come solo lui sa fare, i cinque deputati Radicali eletti nelle liste del Pd. Dal cui gruppo però si sono autosospesi da un bel po' di tempo, e ora ancora più a rischio di espulsione, per non essersi allineati a decisioni e direttive adottate senza potervi contribuire. Dopo essersi rifiutati, l'altro ieri, di disertare con il resto delle opposizioni l'aula di Montecitorio, assistendo quindi alle comunicazioni del governo dopo la bocciatura del rendiconto generale dello Stato, e alla conseguente discussione, i pannelliani hanno rifiutato ieri di partecipare al boicottaggio della votazione di fiducia. Che era stato comunicato loro di prima mattina dal capogruppo del Pd Dario Franceschini, convinto di poterne vanificare l'esito con la mancanza del cosiddetto numero legale, sfruttando alcune assenze forzate prevedibili nella maggioranza. Si pensava così di poter infliggere al Cavaliere lo smacco di un tentativo fallito di chiudere a proprio favore in prima battuta, e forse anche in altre successive, il nuovo scontro con le opposizioni. Il motivo della partecipazione alla seduta dell'altro ieri e alla votazione di ieri è stato lo stesso: «Per rispetto - ha spiegato il radicale Maurizio Turco - delle istituzioni e della funzione parlamentare». Il fatto che i deputati di Marco Pannella avessero votato contro la fiducia al governo, non tradendo quindi lo schieramento nel quale furono eletti più di tre anni fa nelle liste del principale partito mandato dagli elettori all'opposizione, non ha trattenuto dalle proteste e dagli insulti esponenti e persino dirigenti del Pd. Ai quali evidentemente non interessava tanto vincere una partita, che avevano capito già prima del dibattito di poter perdere, magari sul filo del rasoio, quanto esasperare il clima politico, purtroppo anche con la collaborazione di un gruppo dichiaratamente moderato come l'Udc di Pier Ferdinando Casini. Ciò essi hanno fatto prima reclamando l'automatismo della crisi in presenza non di un voto di sfiducia, come prescritto dall'articolo 94 della Costituzione, ma della bocciatura di una legge, peraltro parziale, estesa al suo complesso con la deliberazione di una giunta del regolamento di assai singolare composizione, dove la maggioranza di governo è minoranza. Poi hanno contestato le comunicazioni di Berlusconi e il dibattito disertando le une e l'altro, nonostante la legittimità di questo percorso sancita da due note ufficiali della Presidenza della Repubblica. Infine hanno boicottato, come si diceva, la votazione. Alla quale si sono decisi a partecipare, nel secondo ed ultimo appello utile, solo perché i radicali ne avevano facilitato la validità votando già alla conclusione della prima "chiama". E consentendo così al governo di ottenere alla fine con 316 voti, nonostante il no - ripeto - anche dei pannelliani, una fiducia a tutto tondo: a maggioranza non semplice, cioè dei presenti, ma assoluta, cioè del pieno dell'assemblea. Una pagina per loro più nera dei lavori parlamentari, e delle istituzioni, le opposizioni non potevano francamente cercare di scrivere. Ma ancora più nera, per le scomposte reazioni che sono seguite, è stata ed è la pagina scritta nella vita interna del Pd. Dove si sono distruttivamente sommate le intolleranze di origine comunista e quelle della sinistra democristiana, rappresentata in modo particolare dal presidente dei deputati Dario Franceschini e dalla vice presidente addirittura della Camera, nonché presidente del partito, Rosy Bindi. Si è preteso di militarizzare nella dependance del gruppo parlamentare di Montecitorio i radicali: ridicolmente per chi conosce la non breve storia di costoro e del loro storico leader. Che hanno riservato sempre amare sorprese a chi ha cercato, sia a destra sia a sinistra, di metterli in riga come soldatini, con ordini di servizio e minacce. È facile dissentire dai radicali, impossibile aspettarsene una obbedienza cieca, specie se cercata con le cattive. Ed è proprio questo che ha fatto del vecchio Pannella, in particolare, il più longevo leader ormai della politica italiana, il più imprevedibile, a tratti anche il più duro, certo, ma insieme il più generoso: un autentico, felice ossimoro della nostra democrazia.

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