Lega contro Gianfranco: non è imparziale si dimetta
Ilpresidente della Camera ormai non solo tradisce la maggioranza ma si fa dettare la linea dalle opposizioni». La crociata leghista contro Gianfranco Fini è pronta e, ascoltando i discorsi che qualche deputato del Carroccio fa in Transatlantico, si capisce che i Lùmbard non hanno più intenzione di starsene in silenzio. A rompere gli indugi è stato il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni. Erano da poco passate le 12. Gianfranco Fini era in riunione con i capigruppo quando gli è giunta la proposta del governo circa la presenza di Berlusconi in Aula a Montecitorio per poi porre la fiducia. Un appuntamento chiesto per lo stesso pomeriggio di ieri, almeno secondo quanto faceva trapelare il Carroccio, ma che la Conferenza, non senza il placet di Fini, ha deciso di rimandare alle 11 di oggi. Non l'avesse mai fatto. L'ira di Reguzzoni si è levata: «Il presidente è stato di parte non avendo consentito al governo di riferire oggi stesso (ieri, ndr) quanto è accaduto. Questo è un atto lesivo della dignità del Parlamento». Poi la spiegazione: «Fini non ha consentito a Berlusconi di venire oggi alla Camera per permettere alle opposizioni di fare le loro riunioni». Uno sfogo che però diventa una vera e propria crociata nel momento in cui arriva la notizia che «il presidente della Camera andrà nel pomeriggio al Quirinale». La goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il ministro Roberto Calderoli parte in quarta: «Se il presidente Fini, tra l'altro non invitato, intende davvero salire al Quirinale allora lo dovrà fare soltanto per rassegnare le sue dimissioni, visto il suo ruolo manifestamente politico e ormai da tempo non più super partes». E a fargli da sponda lo stesso Reguzzoni: «Il suo comportamento - attacca rivolto a Fini - non è corretto. Casini dice che lei ha un comportamento ineccepibile. Per forza, è il leader del Terzo Polo di cui lei fa parte! Presidente Fini non degradi il ruolo di presidente della Camera a vice di Casini». Ma la Lega, continua Reguzzoni, lancia un messaggio anche al premier: «Domani, (oggi, ndr) da Berlusconi vogliamo un discorso coraggioso che riguardi gli interessi della gente, vogliamo che si fissi una scaletta delle riforme istituzionali così che la nostra presenza abbia un senso». E lì si è fermato, ma l'avvertimento è chiaro: o riforme o si va a elezioni.