L'opposizione s'aggrappa a Fini e sale sull'Aventino
Gianfranco Fini attraversa il Transatlantico di Montecitorio senza fretta. La sua è quasi una sfilata a favore dei giornalisti e dei pochi deputati che ancora siedono sui divanetti all'esterno dell'Aula. I lavori sono terminati all'ora di pranzo e la prossima convocazione è per stamattina alle 11 quando Silvio Berlusconi prenderà la parola per «comunicazioni» al Parlamento. Ma il presidente della Camera si offre comunque al suo «pubblico». Sorride, appare sicuro di sé come probabilmente non gli capitava da tempo. Dopo un'estate trascorsa nel quasi totale silenzio è tornato al centro della scena politica. Sembra di assistere ad una riedizione di ciò che accadde il 14 dicembre. Anche allora l'attenzione dei «nemici» di Silvio Berlusconi era tutta per Gianfranco. Era lui l'uomo che aveva sfidato il Cavaliere e sembrava in grado di sconfiggerlo. Come andò è cosa nota. Dieci mesi dopo la storia si ripete, anche se non uguale a se stessa. E chissà cosa pensano i cabalisti del fatto che, oggi come allora, il rito del voto di fiducia si celebrerà il giorno 14. Fatto sta che Fini è tornato a giocare un ruolo di primo piano. Merito delle «titubanze» del Pd, ma anche del fiuto del leader di Fli che quando comincia a sentire il «sangue» della preda, si lancia subito all'inseguimento. Già in mattinata i Democratici avrebbero voluto chiedere un intervento al Capo dello Stato che, secondo loro, aveva avuto un atteggiamento «troppo morbido» nei confronti del premier. Ma poi erano cominciati i dubbi. Poteva il principale partito dell'opposizione invitare Giorgio Napolitano ad entrare nell'agone politico? Tirarlo per la giacca? Il rischio di vedere il Quirinale sottrarsi a questo pressing era più che concreto. Bisognava trovare una soluzione «istituzionale». E Fini ha subito colto la palla al balzo rendendosi disponibile a salire al Colle per «far conoscere al presidente la linea dell'opposizione». Quindi, forte del parere della Giunta per il regolamento, ha spiegato che la bocciatura dell'articolo 1 impediva di fatto l'approvazione dell'intero Rendiconto dello Stato. Poi si è recato al colloquio con Napolitano dove ha «segnato» un altro punto a suo favore. Nella nota ufficiale diramata al termine dell'incontro, infatti, il Capo dello Stato lo ha ringraziato per averlo informato della situazione. Un gesto che è stato subito letto dai sostenitori del leader di Fli come una conferma della sua «terzietà». Il vero colpo di teatro, però, è arrivato nel finale. Le opposizioni hanno deciso infatti di convocare una riunione di tutti i capigruppo per mettere a punto, insieme, le «tecniche parlamentari» da utilizzare in occasione del voto di fiducia chiesto dal premier. Hanno già spiegato che il voto, visto il blocco totale dei lavori della Camera, appare come un'inutile forzatura. Vorrebbero lo scioglimento del Parlamento, ma Napolitano ha le mani legate. Serve un gesto eclatante. Prima dell'appuntamento i gruppi si riuniscono singolarmente. E Fli lancia la propria proposta: uscire dall'Aula durante l'intervento del Cavaliere e sistemarsi nel cortile di Montecitorio o addirittura in piazza. Detto fatto. L'idea era già stata avanzata dal Pd. Idv, Liberaldemocratici e Udc si accodano e tutti salgono sull'Aventino. E annunciano con una nota che stamattina «i gruppi parlamentari di opposizione non saranno presenti in Aula durante le comunicazioni del presidente del Consiglio e non parteciperanno al successivo dibattito per non essere complici di una situazione che è ormai intollerabile». «Il rispetto per le istituzioni repubblicane e per il Parlamento - spiegano - ci impone di votare la sfiducia al governo rispondendo alla chiama di venerdì mattina». Ciò nonostante «il voto di fiducia chiesto dal governo non risolve i problemi costituzionali aperti ed è soltanto un inutile tentativo di prorogare uno stato imbarazzante di incertezza e di paralisi». «Questa situazione - attaccano - non è più né decorosa né tollerabile per l'Italia: il governo è incapace di dare risposte alle questioni economiche ed istituzionali». Tra queste ci sono sicuramente le questioni aperte dalla presentazione dei provvedimenti urgenti per l'economia e la nomina del governatore della Banca d'Italia. Inoltre, concludono, «la bocciatura del rendiconto dello Stato configura un'inedita situazione che nella storia della Repubblica si era risolta solo con le dimissioni dei presidenti del Consiglio». Insomma come era accaduto il 14 dicembre le opposizioni si compattano e trovano in Gianfranco Fini il loro condottiero. E proprio nel giorno in cui il «malpancista» Claudio Scajola invita la maggioranza a riabbracciare non solo Pier Ferdinando Casini, ma anche il presidente della Camera. Dalla maggioranza, intanto, arrivano pesanti critiche alla scelta della opposizioni. Per il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli si tratta di una decisione «grave» che «lascia senza parole». Ma ormai la battaglia è cominciata. E Fini spera che stavolta non finisca come dieci mesi fa.