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Penati otto ore sulla graticola per salvarsi

Filippo Penati

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Otto ore davanti ai magistrati per chiarire, replicare alle accuse e portare prove della propria innocenza. È stato un interrogatorio fiume quello sostenuto ieri da Filippo Penati, l'ex sindaco di Sesto San Giovanni ed ex presidente della Provincia di Milano, indagato dalla procura di Monza per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti per un presunto giro di tangenti versate in cambio dell'approvazione di progetti edilizi, in particolare, sulle aree ex Falck e Marelli. Nel lungo faccia a faccia con i pm Walter Mapelli e Franca Macchia, il primo da quando è finito sotto inchiesta, l'esponente del Pd ora sospeso dal partito, ha ricostruito, come lui stesso ha fatto sapere in una nota, i rapporti che ha avuto non solo con i coindagati, tra cui il suo ex braccio destro Giordano Vimercati, l'architetto Renato Sarno e il manager del gruppo Gavio, Bruno Binasco, ma anche con i suoi due grandi accusatori, gli imprenditori Giuseppe Pasini e Piero Di Caterina, negando categoricamente di aver mai preso soldi da loro. Nei confronti dei due, qualora dovesse essere scagionato, Penati ha annunciato che si riserverà di avviare un'azione penale per chiedere i danni. Arrivato al comando della Guardia di Finanza monzese in anticipo rispetto all'orario stabilito, e con un trolley pieno di «carte» raccolte in questi mesi, l'ex capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani, affiancato dai suoi difensori, Nerio Diodà e Matteo Calori, ha risposto alle domande di inquirenti e investigatori, spiegando la sua «verità», convinto «di aver dato un contributo che ritengo comunque importante» per chi dovrà proseguire le indagini e poi «esprimere un giudizio». E, in attesa di trovare i riscontri alle sue dichiarazioni, i verbali dell'interrogatorio sono stati secretati. Per quasi un giorno, senza pause se non quella per un caffè, Penati ha dunque risposto alle domande respingendo tutte le accuse alla base della richiesta del suo arresto, respinta lo scorso 25 agosto dal gip Anna Magelli con un provvedimento ora impugnato dalla Procura davanti al Tribunale del Riesame di Milano (l'udienza è stata fissata per il prossimo 21 ottobre). Così, oltre ad aver negato di aver preso mazzette per i progetti immobiliari sulle aree ex Falck e Marelli, Penati ha anche fornito una sua spiegazione dettagliata sulla compravendita dell'ormai noto immobile in viale Italia a Sesto di Di Caterina e sull'assegno da 2 milioni di euro versato da Binasco come caparra. Denaro ritenuto dagli inquirenti la restituzione di parte dei circa 3 milioni e mezzo di euro che l'imprenditore, a suo dire, avrebbe pagato all'ex sindaco tra il '94 e il 2003. Quanto all'affaire Milano-Serravalle, e cioè l'acquisto a un prezzo giudicato superiore a quello di mercato da parte di palazzo Isimbardi del 15 per cento delle azioni dalla società autostradale dal gruppo Gavio, Penati ha affermato che è avvenuto in piena regola. E che, dietro la plusvalenza di 179 milioni di euro realizzati dal colosso tortonese, non si nasconde, come sospettano i pm, una maxi tangente. Durante l'atto istruttorio sono stati solo sfiorati i rapporti con le coop emiliane, mentre non si è parlato di presunti conti esteri né di finanziamenti al partito. Ora i pm, che al momento non hanno intenzione di riconvocare a breve Penati, cercheranno riscontri alle sue dichiarazioni, anche in vista dell'udienza che si terrà tra 12 giorni davanti ai giudici del Riesame per discutere sulla richiesta, reiterata, del suo arresto.

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