Alfano: basta Casini, Silvio resta
Bossi: senza il Cav chi prende i voti?
Diciamolo subito: il lavoro di Angelino Alfano è difficile, anche piuttosto ingrato. In pratica è incaricato di mettere le pezze, tappare i buchi. Di salvare il governo, provare a navigare nel pieno della tempesta. Sicuramente non sono tanti coloro che farebbero a gara per stare a posto suo in questo momento. Angelino ci prova. Più giorni passano più aumentano i critici nei suoi confronti. Prendono le distanze, silenziosamente, anche alcuni di coloro che per primi l'avevano sostenuto. Sotto traccia viene accusato di «fare bei discorsi ma zero fatti», come sintetizza uno dei big del Pdl. Al di là di Roberto Formigoni e in parte di Gianni Alemanno, nessuno ancora viene allo scoperto. Per ora. Ma le domande circolano. Che fine ha fatto il partito degli onesti? E le sanzioni e regole promesse nel suo primo discorso? E il partito che lanciava proposte? E gli organi di partito che si riunivano ogni due mesi? Paradossalmente però se fa, se prende decisioni rischia di scontentare qualcuno. E oggi anche uno solo, un solo voto può mettere a rischio il governo. Domani Alfano vedrà Claudio Scajola, di cui forse non ne ha compreso le reali intenzioni. L'ex ministro (che da mesi annuncia un nuovo documento che ancora non s'è visto e che dovrebbe contenere la richiesta esplicita a Berlusconi di fare un passo indietro) si è messo alla guida dei malpancisti e spinge per l'accordo con l'Udc. Che discuterebbe di un accordo ma pone una condizione preliminare: fare fuori Berlusconi. Il segretario del Pdl ieri a Saint Vincent per un convegno di Gianfranco Rotondi ha dovuto spiegare di nuovo come quella sia una richiesta impossibile: «La condizione che mi viene posta» da Casini (ma il messaggio è anche per Scajola) è «accantonate Berlusconi e noi siano pronti. È una condizione impraticabile e ingiusta. Io lavoro all'aggregazione di moderati senza condizioni capestro». «Chi mi chiede ogni giorno di accantonare Berlusconi - ha spiegato ancora Alfano - abbia le idee chiare se non le ha avute fin qui, altrimenti abbia l'onestà di dire tutto il contrario, che non condivide il mio diniego». «Io - ha aggiunto Alfano - dico con con grande chiarezza che lavoro per un percorso di aggregazione delle forze moderate senza condizioni-capestro che vedrebbero un sentimento di ingiustizia alimentarsi dentro il Pdl. La nostra - ha detto - è una posizione molto netta molto chiara». Subito dopo ha ridimensionato sia Scajola che Pisanu: «C'è un eccesso di enfasi nell'ipotesi di divisioni interne al Pdl anche perché, quando nel partito non ci sono discussioni, si dice che siamo una caserma e quando si discute che c'è il caos». Quindi ha messo in chiaro: «Sul bipolarismo non intendiamo tornare indietro. È una conquista di Berlusconi e chi vince governa, chi perde va all'opposizione. Ogni cosa che non va in questa direzione - ha aggiunto - è un trucco a cui noi diremo sempre di no». Alfano si è poi detto comunque convinto di «arrivare al 2013 e vincere le prossime elezioni perché abbiamo dimostrato di aver governato l'Italia al meglio possibile, in un momento difficilissimo come quello della crisi attuale». Il leader del Pdl ha poi irriso l'opposizione: «Il centrosinistra non è unito su nulla. Abbiamo perso le ultime amministrative e abbiamo scoperto che in Italia esiste l'unica opposizione che riesce a perdere anche quando perdiamo noi. Sono riusciti a non vincere facendo vincere Di Pietro, De Magistris e Pisapia. I cittadini non vedono una vera alternativa nella sinistra italiana». E non solo i cittadini, ma secondo Alfano anche il mondo finanziario non darebbe fiducia al centrosinistra: «Il provincialismo italiano è quello di chi pensa che se domani al posto di Berlusconi arriva Bersani a capo del governo si emoziona Wall Street. Ma perché? Perché è arrivato Bersani? Questo è il provincialismo di chi non sa guardare ad un orizzonte più grande che è quello del tempo che stiamo vivendo». Infine ha scaldato la platea: «Loro quando sono stati al governo hanno avuto prima candidato Occhetto, poi Prodi, poi D'Alema, D'Alema bis, poi il governo Amato e a fine mandato hanno candidato Rutelli nel 2006, nel 2008 Veltroni. All'elettorato non sono rimasti impressi. È rimasta nella mente degli elettori solo la loro inadeguatezza a governare. Rimane solo l'instabilità perché litigano fra di loro. È questo il motivo per cui ci candidiamo a rappresentare la leadership anche per il futuro». Sentenzia, in maniera vagamente sarcastica, il dc Gianfranco Rotondi: «Mi auguro che Alfano convinca Casini ma non sono sicuro che ce la faccia». E aggiunge: «Abbiamo sempre chiesto a Casini di essere insieme a noi per avere una forza del 40% ma Casini oggi deve avere il coraggio di prendere atto che il problema non è Berlusconi che deve fare passo indietro. Ora - è la conclusione del ministro per l'Attuazione del programma - è il tempo di riunire la grande famiglia del popolarismo europeo».