C'è un post da preparare con Silvio
Quando le maggioranze sono strette, governare è un’impresa. Alla prova del voto di fiducia, l’esecutivo Berlusconi ha sempre dimostrato una tenuta stagna. Ma su votazioni considerate di minore importanza, s’è perso il conto di quante volte il governo è andato sotto. Può andare avanti così? Sì, ma per fare cosa? Manca un anno e mezzo alla fine della legislatura e non c’è spazio per fare grandi riforme. Si può obiettare che i provvedimenti importanti non passano con il solo voto della maggioranza, si condividono con l’opposizione. È lo scenario ideale, ma non siamo in una condizione di normalità. Le Camere sono divise in fazioni armate e l’arbitro di un ramo del Parlamento - il presidente Gianfranco Fini - è un giocatore in campo che vuole fare gol nella porta della squadra che lo ha eletto. Vi pare normale? Se questo è lo scenario, tentare di allargare la maggioranza o darle un assetto variabile a seconda delle leggi in discussione non è sbagliato. Ma il tema chiave è un altro: la premiership di Berlusconi e il futuro del Pdl. C’è chi sostiene che il Cavaliere deve lasciare Palazzo Chigi, chiedere al Colle elezioni anticipate e lanciare un altro candidato; chi non ne vede le ragioni e lo sprona ad andare avanti; chi gli consiglia di puntare alle elezioni senza cedere lo scettro; chi non ha nulla da dire e sta alla finestra. Frondisti e malpancisti nascono da questo magma. Alcuni sono in buona fede, altri meno. Resta il fatto che una discussione sul tema non può essere un tabù. Il segretario del Pdl Angelino Alfano, ha compreso il problema e non a caso ieri ha ribadito di volersi confrontare con Claudio Scajola, Beppe Pisanu e altri che nel campo dei moderati si pongono la questione. Costruire e non distruggere. Allargare e non arretrare. Questo è il disegno di Alfano. Ci riuscirà? Non abbiamo la sfera di cristallo. Lo deve fare con o senza Berlusconi? Ecco, siamo al nocciolo della questione, il post-berlusconismo. L’uscita da un tempo lungo della vita italiana è un tema serio, non un giochetto da retrobottega del Palazzo. Berlusconi, piaccia o meno, è l’icona di una storia che ha plasmato l’immaginario collettivo di una nazione. La stessa opposizione, senza il Cavaliere, non esisterebbe in questa forma e con questi rappresentanti. Un pezzo di establishment non avrebbe avuto alcuna ragione di esistere e, nel vuoto di idee, si sarebbe ritrovato senza un lavoro. Berlusconi potrebbe lasciare Palazzo Chigi, ma continuerebbe a far sentire la sua influenza e presenza sul sistema politico per ragioni che sono evidenti e solo gli ipocriti non vogliono vedere. Diciamo la verità, Berlusconi ha fatto in qualche maniera comodo a tutti. È stato - e lo sarà finché non si palesa un’alternativa credibile - non solo il catalizzatore dei voti della maggioranza degli elettori, ma anche l’uomo che ha giustificato la presenza dei suoi avversari. Senza di lui avremmo avuto un’altra storia e non è affatto detto che sarebbe stata migliore. L’Italia dopo il Cav non sarà un Paese diverso da quello che raccontiamo nelle nostre cronache. I temi dell’agenda politica saranno sempre gli stessi. E le soluzioni sono quelle rifiutate da una società che non riesce ad allontanarsi da un modello neocorporativo che rischia di ucciderla. Berlusconi non è per sempre, ma (forse) l’Italia sì.