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Scontro intercettazioni, la Bongiorno lascia

La deputata e presidente della Commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno

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Il governo e la maggioranza non si fermano. Incassano la bocciatura delle pregiudiziali sul ddl intercettazioni presentate dall'opposizione (anche grazie all'astensione del Terzo Polo che all'ultimo ritira la propria), ma poi forzano la mano. E la tensione torna alta. A riaprire lo scontro, proprio mentre sembrava che il confronto potesse portare ad un testo condiviso, è la decisione del Pdl di insistere sull'emendamento che vieta la pubblicazione di ogni conversazione prima dell'«udienza filtro». Un'insistenza che ha spinto la relatrice Giulia Bongiorno, dopo averle minacciate, a presentare le proprie dimissioni lasciando il posto al deputato Pdl Enrico Costa. «Mi dimetto perché non mi riconosco più in questo testo - ha spiegato - e credo inaccettabile che prima si fa un accordo e poi siccome c'è questo schioccar di dita del presidente del Consiglio tutti voltano le spalle. Credo che Angelino Alfano sia politicamente intelligente e bravo. In questo caso avrebbe dovuto tenere il punto».   La replica arriva dal Guardasigilli Francesco Nitto Palma: «Non comprendo le dimissioni del presidente Bongiorno. Mi pare che le variazioni siano minimali ed estremamente ragionevoli. Assolutamente in linea con il significato dell'udienza filtro». L'opposizione coglie comunque la palla al balzo per tornare all'attacco. E mentre il Comitato per la libertà e il diritto all'informazione, alla cultura e allo spettacolo torna a protestare in piazza del Pantheon (lo farà anche mercoledì prossimo), Antonio Di Pietro accusa: «Dire che non si possono pubblicare intercettazioni fino all'udienza filtro è come dire ai mezzi di informazione è vietato informare su atti che non sono segreti». E lancia un appello al Capo dello Stato Giorgio Napolitano chiedendogli «di inviare un messaggio alle Camere. Se non ora quando?» Duro anche il segretario generale della Federazione nazionale della stampa italiana, Franco Siddi, secondo il quale il disegno di legge «devasta ancora di più l'immagine dell'Italia nel mondo». Insomma lo scontro si riaccende e a questo punto sembra assai probabile che la maggioranza, per evitare sorprese, decida di porre la questione di fiducia sul testo. Anche se il neorelatore Costa spera ancora di arrivare ad un testo condiviso per evitare di infastidire ulteriormente il Colle che di certo non gradisce il fatto che invece di occuparsi di crescita, il governo si sia concentrato anzitutto sulle intercettazioni. Il leader centrista Pier Ferdinando Casini lascia uno spiraglio: «La nostra astensione sulle pregiudiziali dimostra che se si vuole fare una legge seria per impedire gli abusi c'è lo spazio. Se invece vogliono fare censure o vendette non potremo essere complici». Di certo la partita è in salita. E non solo perché la prossima settimana, quando la Camera si troverà a votare il testo, al Senato si lavorerà per approvare la cosiddetta prescrizione breve, ulteriore terreno di scontro tra i Poli. A rendere difficile l'intesa ci sono altri punti qualificanti del ddl come il carcere per giornalisti. Palma assicura che non verrà introdotto, ma nel testo è già previsto che i cronisti che pubblicano intercettazioni di cui è stata ordinata la distruzione vengano puniti con la detenzione. E il Pdl, con un emendamento di Manlio Contento cui è stato dato un via libera preliminare dal Comitato dei nove, vorrebbe estenderla anche a chi mette in pagina conversazioni ritenute irrilevanti dall'udienza-filtro. Nel frattempo è stata raggiunta l'intesa sulla norma che prevedeva l'obbligo di rettifica entro 48 ore per tutti i siti internet, blog compresi. Dovranno farlo solo le testate giornalistiche online. In mezzo a tante polemiche un piccolo «raggio di sole».

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