"Il solito teatrino sul capro espiatorio"
«Serve maggiore responsabilità». La tragedia di Barletta smuove le coscienze. Pone interrogativi. Suscita dibattito. Eppure, mentre la società civile, i sindacati e la politica urlano allo scandalo, il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, richiama tutti alla responsabilità. Parla con il cuore ma, al tempo stesso, non lesina critiche: «Oggi, come al solito, piangiamo altre vittime» ma fino a ieri «nessuno sapeva, nessuno vedeva». «Quante altre situazioni di questo tipo ci sono in Italia? Edifici pericolanti, frane imminenti, territori sconquassati». É per questo che se si vogliono evitare altri disastri - prosegue Gabrielli - «c'è una sola alternativa che si chiama responsabilità. Di tutti. Che è un procedimento inverso alla ricerca di una responsabilità generalizzata perché in un sistema complesso come il nostro la responsabilità comincia dai proprietari, da chi è tenuto al controllo del territorio». Parole dure quelle di Gabrielli, dettate dal timore che anche in questa occasione, come già successo nel passato «non è difficile prevedere che apparecchieranno il solito teatrino, la solita stantia sceneggiatura, per certi versi oltraggiante per chi non c'è più, nella quale tutti parleranno di responsabilità che, quanto più saranno generiche, meglio sarà perché poi alla fine "tutti responsabili, nessun responsabile"». E, proprio su questi argomenti, il Capo della Protezione civile aveva parlato, anche ieri mattina nel corso della giornata di studio voluta dal Dipartimento intitolata Protezione civile e responsabilità nella società del rischio. Chi valuta, chi decide, chi giudica. Un lungo intervento che ha permesso a Gabrielli di spiegare la difficoltà che chi opera nel settore si trova ad affrontare ogni giorno sottolineando, soprattutto come negli ultimi anni, dopo disastri e tragedie, si è messa in moto una «significativa crescita degli atti della magistratura» per rispondere «all'altrettanto evidente crescita della domanda sociale di capri espiatori». Gabrielli non nomina mai il processo a L'Aquila nei confronti della commissione grandi rischi, in cui sono imputati alcuni dirigenti ed ex dirigenti della Protezione civile, oltre che ai più grandi esperti italiani di terremoti. Né parla dell'inchiesta sul G8 in cui è stato rinviato a giudizio l'ex capo Dipartimento Guido Bertolaso. Ma è evidente che il riferimento è a queste due situazioni. «Si è messa in moto una significativa crescita degli atti della magistratura - ripete - che interviene dopo un disastro mobilitandosi alla ricerca di colpe nei comportamenti degli attori implicati nella gestione della catastrofe, allargando l'area di indagine anche alla fase di previsione e di «gestione informativa della previsione» sia all'interno del sistema di protezione civile sia nei confronti della popolazione interessata». Così facendo si corre però un altro rischio: «La possibilita, la probabilità che chi elabora previsioni su fenomeni naturali ed eventi potenzialmente catastrofici all'interno del sistema della protezione civile - dice infatti Gabrielli - possa essere chiamato a rispondere del proprio operato non solo nei termini e con i parametri tecnici di questa professione ma anche secondo i criteri di colpevolezza, giuridicamente intesa, rappresenta una dimensione nuova, non conosciuta e valutata ed anche per questo portatrice di ansie, timori, incertezze comportamentali». Una situazione che nasce, secondo il capo del Dipartimento, anche dal fatto che il cittadino è diventato ormai un «consumatore della sicurezza», che viene percepita «come un servizio che gli è dovuto a prescindere dai suoi comportamenti e dalle conseguenze delle scelte da lui adottate». E questo fa sì che la Protezione Civile venga vista come responsabile della sicurezza dei cittadini di tutta Italia, «anche di chi ha costruito casa sulle pendici del Vesuvio o attorno ai Campi Flegrei, di chi abita case costruite in aree a rischio alluvione o frana, di chi abita edifici costruiti senza criteri specifici in zone sismiche». Non solo, continua Gabrielli, «nel meccanismo della delega che mi deresponsabilizza c'è un meccanismo di accrescimento delle aspettative: se io sono incerto e insicuro questi limiti non li ammetto in capo a coloro ai quali ho delegato la protezione della mia sicurezza. Per costoro l'incertezza non è ammessa, "loro" devono sapere, saper prevedere, saper prevenire, saper gestire. Se non sono protetto e garantito, ho diritto ad essere rimborsato dei danni, fisici e morali, che ho subito, a prescindere dalle scelte che ho compiuto e dal ruolo che posso aver avuto nell'accrescere i medesimi danni». Lo stesso Gabrielli attacca anche quella che definisce la società della comunicazione: «Oggi si cerca meno un'informazione esaustiva e molto di più fonti che diano ragione al fruitore e che siano sulla sua stessa lunghezza d'onda. La domanda che sembra crescere senza controllo è una domanda di semplificazione, non di miglioramento della capacità di comprensione: la comunicazione si rivolge più alla pancia dei suoi utenti che alla loro testa, mira a suscitare emozioni più che a diffondere conoscenza». La stessa informazione sulle vicende giudiziarie tende a concentrarsi alla fase dell'istruttoria dei procedimenti, per poi disinteressarsi quasi completamente dei seguiti processuali, dando vita ad una nuova sorta di manifestazione del diritto che si esercita tramite i processi mediatici, in grado di arrivare a conclusione molto più velocemente e con incisività decisamente superiore a quella dei procedimenti che si svolgono nelle aule di giustizia».