Ignoranti e senza garantismo

La scena della piazza di Perugia allietata dai muggiti con cui alcuni armenti di colpevolisti locali hanno espresso l'altra sera il loro sdegno per la sentenza del processo Meredith è solo uno degli innumerevoli piccoli o grandi show con cui la coscienza delle masse provvede da sempre a dimostrare ogni tanto qui e là la profonda verità dello strepitoso esametro con cui il grande Lucrezio, due millenni e rotti fa, definì l'inferno. «Hic Acherusia fit stultorum denique vita» («L'Inferno sarà l'esistenza degli imbecilli quaggiù»): così suona quel memorabile verso, che nel De rerum natura chiude il celebre passo (III, 978-1023) sulle pene dell'aldilà. Nelle quali Lucrezio ovviamente non credeva affatto, mentre considerava davvero infernali proprio e soltanto quelle che gli umani infliggono a se stessi e al loro prossimo con la loro stupidità. Nello sconcertante groviglio di odio, presunzione e sadica ingordigia punitiva che ha mosso quel piccolo branco di perugini all'attacco degli avvocati della difesa evidenti erano i segni di un'abissale idiozia. Il più deprimente dei quali, però, non è affatto il sospetto, del tutto legittimo, che Amanda e Raffaele potrebbero essere realmente gli assassini di Meredith, e nemmeno l'intimo convincimento che quella sentenza di piena assoluzione sia ingiusta, bensì la manifesta, assoluta refrattarietà di quegli invasati alla comprensione del più antico, semplicissimo principio di ogni possibile garantismo. Del quale c'è chi crede che sia un'invenzione piuttosto recente. Ma questa è una sciocchezza che può circolare impunemente solo in ambienti sprovvisti della più elementare cultura giuridica. L'idea che il «garantismo» sia una trovata moderna sembrerebbe confermata dal fatto che l'espressione è entrata nel nostro linguaggio in anni abbastanza vicini. Ma la parola non è l'idea. E l'idea, se con essa si intende il principio della più rigorosa tutela dei diritti dell'imputato nella prassi giudiziaria, è cosa molto antica. Antica almeno come l'antica Roma. Giacché le sue radici affondano appunto nella sapienza giuridica dei legislatori latini dei primi secoli dell'èra cristiana. Una mentalità giuridica che oggi potremmo forse definire «garantista» si riscontra già, del resto, nella cultura greca dell'età classica. Per esempio, in alcuni passi dei Problemata, un testo che si suppone redatto nel IV secolo a. C., si affermano princìpi del tutto conformi alle esigenze del garantismo moderno. Ma si tratta di timidi indizi. Che furono poi sviluppati appunto, cinque o sei secoli dopo, con straordinaria coerenza e vigore, dai giureconsulti romani della tarda età imperiale. Non è anzi esagerato sostenere che tutto l'edificio teorico del «garantismo» moderno è racchiuso, come un albero nel proprio seme, in quell'ammirevole motto latino che in quattro sobrie parole – «in dubio pro reo» – afferma che nei casi giudiziari dubbi si deve decidere sempre a favore dell'imputato. Con esso infatti emerge, forse per la prima volta in forma esplicita e rigorosa nella storia del diritto occidentale, la concezione per cui il criterio della tutela del possibile innocente deve prevalere su quello della punizione del probabile colpevole. Il principio fu enunciato con la massima chiarezza, all'inizio del II secolo d. C., dall'imperatore Traiano, che secondo un commentatore del IV secolo, Domizio Ulpiano, soleva dire che rischiare di lasciare impunito un colpevole fosse meglio che rischiare di punire un innocente. Lo stesso concetto fu ribadito pochi anni dopo da Antonino Pio, sotto il cui regno un insigne magistrato di quel tempo, di nome Giulio Paolo, su esplicita richiesta di quel saggio imperatore, stabilì una norma in base alla quale, nel caso di equipollenza delle ragioni dell'imputato e di quelle dell'accusa, si debba decidere sempre a favore del primo e mai del secondo. Di squisita ispirazione garantista è inoltre anche il pensiero giuridico di Gaio, un altro insigne giurista di quel tempo, il quale sostenne l'esigenza che gli «auctores» e i «rei», ossia gli accusatori e gli imputati, fossero posti sempre a confronto diretto. Notevole infine è una frase di Seneca il Vecchio, così chiamato per distinguerlo dal suo più famoso figliolo, che in un passo di un suo trattatello giuridico (Controversiae, 1,5,3) infilò questo mirabile fioretto garantista: «Inter pares sententias mitior vincat» («Tra due pareri equipollenti prevalga il più moderato»). Insomma il seme del «garantismo» diede i suoi primi frutti decisivi a Roma fra il I e il II secolo d. C. E questa circostanza inoppugnabile autorizza a riconoscere agli energumeni che l'altra sera, a Perugia, hanno inveito minacciosamente in piazza contro gli avvocati di Amanda e Raffaele, il titolo e il rango di antichi bestioni pre-giuridici.