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dall'inviato Marino Collacciani PERUGIA Composti, schierati in linea sotto il fuoco dei flash.

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Assediatida microfoni a forma di funghi nati sotto il diluvio delle loro lacrime. Ma dopo la sentenza il tono della madre, della sorella e del fratello di Meredith Kercher è asciutto. A differenza delle strategie legali, dei colpi a effetto e delle citazioni della letteratura trash con fastidiose e stridenti Veneri impellicciate, persino fuori stagione, l'immagine che offre questa straordinaria famiglia inglese restituisce finalmente un concetto dimenticato: il dolore. Loro se lo sentivano, avevano fiutato aria di assoluzione, respirato l'odore insopportabile di una giustizia non rivelata. Lo strano miasmo era stato avvertito anche dal loro avvocato Francesco Maresca che, non a caso, nella tempistica aveva annunciato un giorno prima della sentenza la conferenza stampa che i familiari di Mez avrebbero tenuto. E così è stato. La dignità e lo stile di questa famiglia non hanno bisogno del cerimoniale, ma la fierezza mostrata ieri è quella che appartiene a una belva assetata di giustizia. Al momento giusto, però, sembrano comunicare i loro occhi che scavano le coscienze degli inviati di mezzo mondo, rotte a tutto per colpa di un mestieraccio spesso infame. Ma non insensibili a quella magnetica forza che non vuole convivere passivamente con la rassegnazione. Il padre della studentessa inglese non è neanche venuto a Perugia, commentando dall'Inghilterra: «È grottesco. Ma come sono state condotte le indagini?». Lunedì sera Arline, Lyle e Stephanie Kercher erano chiusi nel loro dolore come al solito, ma con i volti stupiti, sbigottiti per una sentenza-choc. Ieri una verità per loro inaccettabile ha acceso veri e propri laser nel buio dell'inchiesta, appena contenuti nel loro penetrante bagliore dal tono della voce. Compassato, ma pesante come un macigno carico di decibel abbattutosi, fino a frantumarlo, sull'impianto accusatorio. «Comunque mia figlia non tornerà a casa - sottolinea Arline con disarmante semplicità - e questo è il peggiore degli incubi per qualsiasi madre. Lei è stata uccisa in camera sua, accanto al letto. Dove avrebbe dovuto essere più sicura». Una sicurezza violata insieme con la certezza di un flop giudiziario. Il figlio Lyle conferma, però, la fiducia della famiglia nel sistema italiano: «Poteva succedere in qualsiasi altro Paese, ma l'interrogativo che ci poniamo è chi siano le altre o l'altra persona responsabili insieme a Guede. A noi non interessa vedere degli innocenti in carcere, Sollecito e la Knox o chiunque non si dimostri responsabile dell'omicidio». La famiglia di Mez si è mostrata in ogni caso grata al popolo italiano per la vicinanza, «espressa anche da gente di altre parti del mondo». «Qualcuno - ha aggiunto Lyle - ha cercato di creare una divisione tra Usa, Inghilterra e Italia ma non ha senso. L'unica possibilità di conforto può arrivare dalla verità che, speriamo, la giustizia italiana riesca a far emergere». I Kercher hanno spiegato, quindi, di «non capire» i motivi di una sentenza «rovesciata» rispetto al primo grado. Ad Arline, poi, «non interessa se Amanda fa lo show». «Non c'è niente di personale - ha aggiunto - e non la riteniamo colpevole a prescindere. Non ci eravamo detti felici dopo la sentenza di primo grado e non lo siamo oggi». Ma un comprensibile distacco emerge dalle parole dell'avvocato Francesco Maresca che racconta come il padre di Raffaele Sollecito abbia tentato di mettersi in contatto con i familiari di Mez dopo il verdetto: «Abbiamo ritenuto che non fosse il momento giusto per fare questo. Non ci sono mai stati contatti fino ad ora, ma c'era stato molto tempo per fare le condoglianze». Un commento caustico, emblematico di una frattura insanabile. Il legale è, poi, tornato a sottolineare «l'enorme pressione dei media sul processo. Non c'era alcuna fondazione e nessuna associazione per sostenere Meredith. Se tutto questo abbia inciso o meno sulla sentenza non sta a me dirlo». Il legale ha chiarito che un eventuale ricorso in Cassazione spetti alla Procura. «Come parte civile - ha concluso - abbiamo un ruolo particolare e ovviamente continueremo a seguire il caso». Tra l'altro, l'assoluzione di Sollecito e della Knox ha annullato il risarcimento disposto in primo grado e, comunque, mai incassato. Trenta minuti scarsi per testimoniare l'inspiegabile, poi la famiglia Kercher è ripartita per Londra. La stessa città dove proprio ieri Amanda Knox ha fatto tappa nel suo viaggio verso Seattle.

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