Ma non si torni automaticamente al "Mattarellum"
Il successo della raccolta di firme per la richiesta di referendum abrogativo della legge elettorale dimostra che l'istituto referendario – manifestazione principe di democrazia diretta – non è morto. Il grandissimo numero di sottoscrizioni, più del doppio di quelle richieste, raccolto in pochissimo tempo è una precisa indicazione del fatto che – dopo un periodo durante il quale l'abuso e la strumentalizzazione del referendum sembravano averne segnato un declino irreversibile – questo istituto viene percepito di nuovo dalla grande massa degli italiani come l'unico possibile strumento per far sentire, davvero, la propria voce e le proprie ragioni. E per dare, ammettiamolo, una spallata a un sistema politico in profonda e irreversibile crisi. Così come avvenne, sia pure quale conseguenza indiretta e probabilmente inintenzionale, nel 1991 con il referendum sulla riduzione delle preferenze per le elezioni della Camera dei Deputati. È, dunque, positivo il deposito di ben oltre un milione di firme. È una risposa alla deriva, sempre più pericolosa, di un'«antipolitica» che potrebbe manifestarsi, oltre che nell'assenteismo elettorale, anche in altre forme deleterie per la tenuta del sistema democratico. Indica una ripresa di interesse dei cittadini per la politica e una precisa loro volontà di partecipazione alla gestione e al controllo della cosa pubblica. Riconosciuto ciò, è necessaria una riflessione. Proprio il successo della raccolta delle firme pone sul tappeto, almeno in prospettiva, il problema della necessità di una riforma dell'istituto referendario per evitare che esso venga utilizzato a sproposito e soprattutto, al di là della sua stessa natura, come una Camera surrettizia, una «terza Camera» insomma, in grado di legiferare attraverso l'abolizione di qualche parola o qualche comma di una legge vigente che, ipso facto, può convertirsi in una legge dalle caratteristiche e dagli effetti opposti a quelli della versione originaria. Indipendentemente dai risultati e dal giudizio di merito che se ne può dare, non è, ovviamente, questo il modo migliore per garantire la democraticità e la correttezza del processo legislativo. È un problema serio, di credibilità e di affidabilità, democratica e liberale, delle istituzioni. Mettiamolo da parte, per ora, questo problema. E veniamo al referendum in questione. Se approvato dagli italiani, esso porterebbe, automaticamente, al ripristino della legge elettorale precedente, quella conosciuta con il nome di «Mattarellum»: una legge per tre quarti di tipo maggioritario a collegio uninominale e per un quarto di tipo proporzionale. Non è - diciamolo subito - la legge elettorale ideale. Ogni meccanismo elettorale è uno strumento che ha una logica interna finalizzata a provocare, in condizioni di funzionamento fisiologico, determinate conseguenze. La logica del maggioritario spinge verso la concentrazione, quella del proporzionale verso la frammentazione. Il «Mattarellum» non è in grado di garantire, oltre un certo limite, la semplificazione del quadro politico perché è non un meccanismo elettorale «intermedio» o autonomo, ma è il frutto dell'accostamento di meccanismi operanti con logiche diverse e contrapposte. Non a caso le critiche a suo tempo mosse al «Mattarellum» sostenevano che esso, lungi dal portare verso il bipartitismo, aveva finito per moltiplicare il numero dei partiti. Erano critiche ingiuste basate sul falso assunto che il «Mattarellum» fosse un meccanismo elettorale di tipo maggioritario. Per quanto imperfetto, peraltro, il «Mattarellum» è meglio della legge elettorale attuale, il cosiddetto «Porcellum» che ha espropriato gli elettori e che - mi meraviglia come non sia stato rilevato - ha recuperato, mutatis mutandis, la logica con la quale, ai tempi del fascismo, veniva preparato il «listone» dei candidati da sottoporre agli elettori se non, addirittura, la logica con la quale, a fine regime e trasformata la Camera dei Deputati in Camera dei Fasci e delle Corporazioni, venivano designati i consiglieri nazionali. Logica vorrebbe che, adesso, le forze politiche si rimboccassero le maniche e si mettessero al lavoro per varare un provvedimento in grado di raccogliere un'ampia convergenza e superare gli inconvenienti già sperimentati del «Mattarellum»: si potrebbe, per esempio, scegliere il maggioritario uninominale a un solo turno o quello a doppio turno ovvero il proporzionale con lo sbarramento. Sarebbe un atto di responsabilità che eviterebbe anche la spesa per l'organizzazione e lo svolgimento del referendum e il trauma connesso. Si sa, però, che la logica non alberga nelle menti delle classi politiche. Soprattutto quando queste, travolte dagli avvenimenti, sono in preda al panico. Allora? Allora, con molta probabilità, assisteremo a un altro scenario: quello della fine anticipata della legislatura. Il referendum, questo referendum, è la vera mina che, esplodendo, può mettere la parola fine alla vita del governo Berlusconi. Molti parlamentari, nell'ipotesi dell'approvazione di una nuova legge elettorale o del ritorno del «Mattarellum» per via referendaria, dovrebbero verosimilmente tornare a casa. La caduta del governo e la mancata costituzione di un governo tecnico (che difficilmente riuscirebbe a trovare i consensi necessari) allontanerebbe il pericolo immediato o di una nuova legge elettorale o dello svolgimento del referendum. In altre parole, implicherebbe una campagna elettorale effettuata con la legge in vigore e, quindi, la possibilità, per i parlamentari, di essere «nominati» ancora una volta. La verità, nuda e cruda, è questa. Può anche non piacere, ma è uno scenario verosimile. Funzionale agli interessi della casta dei politicanti.