Quano Montanelli "adottò" Giacinto
Dio mio, è tornato Montanelli. Così mi sono detto, compiaciuto, vedendo ieri mattina la rete di protezione di Pannella stesa dal direttore de Il Tempo Sechi, con il suo editoriale e il titolo a caratteri di scatola, su tutta la prima pagina, contro la "purga" minacciata dal Pd a carico della pattuglia radicale, ammutinatasi nell’aula di Montecitorio all'ordine di votare la mozione di sfiducia al ministro Romano. Che si è salvato, in verità, a prescindere dai sei voti mancati contro di lui con l’astensione dei pannelliani, ma è riuscito lo stesso a far saltare i nervi, e il cervello, ai vertici del maggiore gruppo parlamentare d'opposizione. "Vanno espulsi", gridava la presidente del Pd, nonchè vice presidente della Camera, Bindi mentre il capogruppo Franceschini, furente pure lui, già preparava e gustava gli ingredienti della radiazione convocando quasi ad horas il comitato direttivo. Che ieri ha più prudentemente rimesso la questione al segretario del partito Bersani, forse su sua stessa richiesta. Che c’entra Indro Montanelli?, mi chiederete. E forse se lo chiederà per primo Sechi, che aveva solo una decina d’anni - beato lui - all’epoca dei fatti il cui ricordo mi ha portato a Montanelli. Era il periodo della cosiddetta solidarietà nazionale, cioè degli assaggi di compromesso storico fra la Dc e il Pci compiuti con un governo monocolore scudocrociato guidato da Andreotti e appoggiato esternamente dai comunisti diretti da Berlinguer. Quel felicemente rompiscatole di Pannella era tra i pochi ad opporvisi. E, fra i pochi, sicuramente il più combattivo e fantasioso, non liquidabile dagli avversari come un ferro vecchio fascista o un terrorista rosso. Una sera gli toccò di confrontarsi davanti alle telecamere della Rai con Alessandro Natta, che era praticamente il vice di Berlinguer, non a caso destinato a succedergli alla morte alcuni anni dopo: un uomo di una cultura umanistica stranamente pari purtroppo alla sua durezza ideologica e pratica. Era stato proprio a lui che Berlinguer si era rivolto per la radiazione dei dissidenti del Manifesto dal Pci, affidandogli il compito di relatore-accusatore davanti al Comitato Centrale. Tallonato dal leader radicale, Natta quella sera non riuscì a trattenersi, neppure con le mani. Che ad un certo punto stese in avanti e agitò come si fa contro un cane che si vuole scacciare. Montanelli ne rimase scioccato e mi chiamò per chiedermi se avessi visto anch’io quella scena. Sì, l’avevo vista. E gli chiesi a mia volta se avesse intenzione di scriverne, magari in uno dei suoi puntuti controcorrente, che spesso valevano da soli più di un editoriale o di un numero intero del nostro Giornale. "Faremo di più", mi rispose il direttore. Cosa? "Stenderemo con la nostra linea politica - mi disse - una rete di protezione di Pannella dai comunisti, perdonandogli tutto". Protezione. Questo fu il termine di Indro, che gli ho preso in prestito all’inizio di questo articolo scrivendo della rete stesa da Sechi ieri in difesa di Pannella. Al quale - benedett’uomo - vorrei tuttavia rimproverare amichevolmente di essersi infilato attraverso i gruppi parlamentari, come ospite sempre meno gradito e tollerato, in un partito - il Pd - dove sono confluiti, e conducono la danza, i sopravvissuti e gli eredi del compromesso storico: post-comunisti e post-democristiani di sinistra. Fra i quali, i secondi - tipo la Bindi e Franceschini - sono persino più tosti, cioè più faziosi e irascibili, dei primi.