Le carte spedite a Bari ma sfuma l'estorsione
Caso Tarantini punto e a capo. «Tutto come previsto», dicono gli addetti ai lavori. La procura di Roma ha deciso di inviare a Bari gli atti che riguardano Valter Lavitola per l'ipotesi di reato di induzione a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria, la stessa configurata dal tribunale del riesame di Napoli. «Se c'è o non c'è se la vedranno loro», ammettono gli inquirenti. Restano nella Capitale, invece, le posizioni dei cinque soggetti precedentemente indagati per estorsione ai danni di Silvio Berlusconi: Tarantini, la moglie Angela Devenuto (detta Nicla), lo stesso Lavitola e due suoi collaboratori coinvolti nella vicenda in quanto avrebbero ritirato materialmente i soldi destinati dal presidente del Consiglio ai coniugi Tarantini. Il tribunale del Riesame di Napoli ha stabilito che a loro carico non ci sono «gravi indizi di reato», ma spetta al loro giudice naturale (Roma appunto) procedere o meno per la presunta estorsione. tutti e cinque, comunque, possono dormire sonni tranquilli: la loro posizione - si apprende tra i corridoi di piazzale Clodio - «verrà al novanta per cento archiviata». Sì, archiviata. L'estorsione, insomma, non ci sarebbe. L'ipotesi di reato per cui Tarantini è stato messo in carcere il primo settembre (dopo esser stato pedinato il giorno prima) e liberato solo lunedì scorso, dopo 26 giorni di detenzione cautelare a Poggioreale, semplicemente non esisterebbe. E Gianpi - prima indagato e ritenuto capace di fuggire, di inquinare le prove e reiterare il reato - è diventato vittima. Il miracolo è dei pm di Napoli. È grazie a loro che il «caso Tarantini» è tornato alla ribalta. Adesso lui, Gianpi, è tornato in libertà. E a seguirlo - stavolta - sono fotografi e telecamere. «Siamo contenti del risultato - ammette Ivan Filippelli, legale dell'imprenditore barese - ma molto dispiaciuti per quanto è accaduto. Due giovani sono stati privati della libertà per circa un mese per un'ipotesi di reato veramente fantasiosa». Già perché se Tarantini è stato a Poggioreale («ha sofferto molto, parliamo di una delle carceri più dure d'Italia») Filippelli non dimentica l'«aggressione» ricevuta dalla moglie Nicla. «Secondo l'articolo 275 comma 4, la donna non poteva nemmeno essere arrestata (come è avvenuto in un primo momento, ndr). I suoi figli hanno meno di tre anni, parliamo di garanzie fondamentali». Quanto alla carcerazione dell'imprenditore barese l'avvocato non ha dubbi: «È ingiustificabile. È figlia di una frettolosità dettata dalla fuga di notizie che non ha dato ai magistrati la serenità di valutare correttamente gli elementi a disposizione». Adesso Gianpi è una «vittima». Di Lavitola, intanto. Almeno secondo il Riesame di Napoli. E di Berlusconi, forse. Ma questo sarà Bari a deciderlo. Filippelli non è d'accordo. «Se vittima è stato, è stato una vittima inconsapevole - spiega - Quello che ha detto nel 2009 ha ripetuto nel 2011 nelle 200 ore di interrogatorio che ha subito. Non vi è mai stata una versione diversa. Edulcorata. O di comodo». Se così fosse anche Bari dovrebbe archiviare. Dopo centomila intercettazioni, richieste di accompagnamento coatto nei confronti di un primo ministro e un tifone mediatico internazionale che ha travolto il Paese. È la giustizia, bellezza.