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Avanti con le riforme per fermare il referendum

Palazzo Grazioli

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Avanti con la bozza Calderoli sulla riforma del bicameralismo e sulla riduzione del numero dei parlamentari per mettere fuori gioco il referendum. È la strada che Berlusconi vuole seguire per scongiurare la «mina» della modifica del sistema di voto che porterebbe quasi automaticamente a elezioni anticipate l'anno prossimo. Approvando invece la riforma del Parlamento – basta anche solo il via libera al Senato – poi si avrà più tempo per arrivare anche a una modifica della legge elettorale entro il 2013, anno della scadenza naturale della legislatura. Il premier lo ha spiegato ieri ai capigruppo dei partiti della maggioranza nell'incontro del giovedì a palazzo Grazioli che è diventato ormai un vertice istituzionalizzato ogni settimana per fare il punto della situazione. E preparare il programma dei provvedimenti da portare avanti. È quella gestione collegiale che i partiti chiedevano da tempo e sulla quale ormai è d'accordo anche Silvio Berlusconi. «È ovvio che se cambi la struttura delle Camere poi devi cambiare anche il sistema con cui vengono eletti i parlamentari – spiega Silvano Moffa, capogruppo di Popolo e Territorio - Ma in questo modo non sei legato al referendum». Sul tavolo ieri pomeriggio c'era anche il decreto sviluppo da riempire con i suggerimenti della coalizione. «Ci siamo dati appuntamento per la prossima settimana – prosegue Moffa – e ognuno di noi presenterà le proprie proposte. Abbiamo tempo fino a metà ottobre per preparare il provvedimento». Berlusconi è anche deciso ad andare avanti con il testo della legge sulle intercettazioni, quello che dovrà porre un freno alle pubblicazioni dei colloqui che non sono rilevanti ai fini delle inchieste. Il provvedimento arriverà in aula la prossima settimana quando verranno votate le pregiudiziali di costituzionalità. Poi inizierà l'esame. Ma le possibilità di modifica – spiegano dentro il centrodestra – sono ridotte al minimo. Nel testo la norma che ha acceso la protesta in questi giorni è quella definita ammazza-blog, che prevede l'obbligo per ogni gestore di «sito informatico» di rettificare ogni contenuto sulla base di una semplice richiesta di soggetti che si ritengano lesi. Non c'è possibilità di replica, chi non rettifica entro 48 ore paga fino a 12 mila euro di multa. Oltre cento associazioni, blogger, gruppi di attivisti in rete ma anche politici sostengono che la misura non solo mette un bavaglio alla libertà di espressione sulla Rete, ma accosta ingiustamente blog individuali a testate registrate, equiparando dunque opinioni personali ad editoria vera e propria. E non ultimo tocca pesantemente le finanze di chi si rifiuta di rettificare quello che ha ritenuto di pubblicare, senza possibilità di opposizione. «Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono», recita la parte della norma relativa all'istituto della rettifica. Dunque, basta una richiesta perché un blog, un sito o un giornale online sia obbligato a rettificare entro 48 ore. Secondo i blogger e il popolo della rete, dunque, ogni contenuto sul web diventa potenzialmente censurabile, con l'invio di una semplice mail. Ed è per questo che, a pochi mesi dalla protesta contro la delibera dell'Agcom sul diritto d'autore, ieri il mondo del web è sceso di nuovo a protestare in piazza.

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