I giudici all'assalto del Cav: sapeva che erano escort
I timori di Silvio Berlusconi erano tutt'altro che infondati. Il rischio di trasformarsi da «parte lesa» a indagato nell'ambito dell'inchiesta sui presunti ricatti subiti da Gianpaolo Tarantini non era una semplice ipotesi di scuola. Anzi, ora che il tribunale del Riesame di Napoli ha disposto la scarcerazione dell'imprenditore pugliese e l'invio degli atti alla Procura di Bari, quella possibilità appare più che concreta. Perché le 30 pagine dell'ordinanza depositata lunedì, altro non sono che un lungo atto di accusa nei confronti del premier. Secondo i magistrati, infatti, Berlusconi sapeva «della qualità di "escort" delle ragazze presentategli dall'imprenditore barese». Ma non è l'unica «imputazione» ai danni del premier, che avrebbe mentito anche sui motivi che lo hanno spinto a versare somme di denaro a Tarantini. «La giustificazione - scrivono - andrebbe ravvisata nello spirito di liberalità e solidarietà del Presidente del Consiglio nei confronti di un soggetto trovatosi in gravi difficoltà economiche. (...) Ebbene, ritiene il Collegio che la suddetta giustificazione appare inevitabilmente smentita non solo da una serie di argomentazioni di ordine logico, ma anche da una pluralità di circostanze di fatto emergenti dagli atti». Per il Riesame poi, «non vi è dubbio che la condotta processuale fin dall'origine assunta dal Tarantini, volta a tenere il più possibile "indenne" il Presidente del Consiglio Berlusconi dai verosimili danni alla sua immagine pubblica derivanti dalla divulgazione dei risvolti più "sconvenienti" del processo pendente presso l'Autorità Giudiziaria barese, sia stata indotta dalla promessa da parte del Premier, di "farsi carico, dal punto di vista economico della "situazione" del Tarantini». Ecco perché, per i magistrati napoletani, si configurerebbe il reato di istigazione a mentire. E quindi, in fondo, non sarebbe poi così strano se la Procura di Bari (competente in quanto Tarantini rilasciò lì le proprie dichiarazioni) decidesse di iscrivere il premier nel registro degli indagati. Ma qui si apre un altro capitolo. Ieri il procuratore Giovandomentico Lepore ha spiegato che i pm napoletani invieranno a Bari una copia del fascicolo, dal momento che l'originale è già stato trasmesso a Roma nelle scorse settimane. «Valuteremo il da farsi dopo aver esaminato gli atti» fanno sapere dal capoluogo pugliese. Mentre nella Capitale si è davanti ad un bivio: mandare gli atti alla Procura barese o sollevare il contrasto davanti alla Procura generale della Cassazione. Nel frattempo il Pdl si scaglia contro i magistrati partenopei difendendo la scelta di Berlusconi di non farsi interrogare in qualità di «parte lesa», sfuggendo così ad un evidente «tranello». Sarà, ma ora il premier rischia di trovarsi invischiato in un altro procedimento giudiziario. «Siamo sereni» ha dichiarato ieri Angela Devenuto, moglie di Tarantini, anche lei libera dopo un periodo agli arresti domiciliari. L'imprenditore barese, invece, si è fatto vedere in pubblico ma senza rilasciare dichiarazioni. Chi ha parlato, per la seconda volta in poche settimane, è invece Sabina Began anche lei coinvolta nell'inchiesta. «Le mie erano ragazze di scena - ha spiegato a Vanity Fair -, servivano al piacere degli occhi. Fine. L'ho detto al magistrato: né denaro, né sesso».