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Certificati da abolire, Brunetta vittima della retorica antimafia

Renato Brunetta

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«Basta certificati antimafia». Una frase del ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, accende lo scontro. La replica arriva dal collega di governo Roberto Maroni: «No, sono indispensabili nella lotta alla criminalità organizzata». Ma la nota del numero uno del Viminale non è riuscita a placare le polemiche contro Brunetta, che hanno preso subito la strada della retorica dell'antimafia. Il ministro, infatti, non intendeva proporre l'abolizione dei certificati che le aziende sono tenute a presentare quando partecipano ai bandi pubblici. Piuttosto aveva annunciato che non si dovrà più chiedere «a imprese e cittadini documentazione per informazioni che la pubblica amministrazione già possiede». Aveva esortato: «Basta pacchi di certificati per partecipare ai concorsi». E poi la frase incriminata: «Basta certificati antimafia». Diluvio di polemiche. «Il ministro è sempre molto originale», ha detto il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso. Scettico anche il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia: «Concordo sulla necessità di semplificare la burocrazia ma senza intaccare i controlli preventivi antimafia, perché il rischio di indebolire gli apparati di prevenzione dalle infiltrazioni mafiose c'è». Per il vicepresidente dei deputati Pd, Michele Ventura, sono queste «le idee dell'esecutivo Berlusconi per la crescita: meno legalità per tutti». È ironico il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro: «A questo esecutivo il certificato antimafia non serve perché dovrebbe applicarlo prima a se stesso» mentre il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino, ha affidato alla sua pagina Facebook il de profundis del «partito degli onesti», «morto prima di nascere». Dopo il richiamo di Maroni - che ha ricordato l'approvazione, in agosto, del Codice antimafia, «che ha riscritto la normativa per renderla più efficace e rapida, venendo incontro anche alle richieste del mondo delle imprese» - è stato lo stesso Brunetta a riconoscere: «Il collega ha perfettamente ragione, il certificato antimafia è indispensabile ma è indispensabile che a procurarselo siano le pubbliche amministrazioni al loro interno, senza più vessare imprese e cittadini, trattati finora alla stregua di inesausti fattorini». Ma anche la precisazione è stata inutile. «Il certificato antimafia è un importante presidio di prevenzione e conoscenza che in tanti casi ha permesso di bloccare gli interessi delle mafie negli appalti» dice Don Luigi Ciotti, presidente di «Libera». «Bene la precisazione di Maroni che mette nell'angolo il ministro Brunetta e ne dimostra l'incompetenza gestionale della macchina dello Stato» attacca Ettore Rosato (Pd). Netto anche il presidente della Camera Fini: «Brunetta ha perso una buona occasione per tacere». Mentre il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, spiega: «Mi dispiace per il mio amico Brunetta ma sul tema del certificato antimafia sono d'accordo con Maroni. La certificazione antimafia deve al contrario essere resa ancora più pervasiva per evitare ogni forma di infiltrazione». Un vero e proprio tiro al bersaglio che ha reso inutili le successive, e continue, precisazioni del portavoce del ministro. Dulcis in fundo è arrivata anche la nota di Confindustria: «Ogni iniziativa volta a favorire lo snellimento delle procedure amministrative è un impulso per promuovere la crescita, non bisogna però mai perdere di vista l'obiettivo di assicurare che la competizione tra imprese si svolga sempre nel pieno rispetto delle regole, evitando la concorrenza sleale dell'azienda più grande: la mafia», scrive in una nota Antonello Montante. Perfetto. Ancora una volta tanto rumore per nulla.

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